L’operazione di questa mattina all’alba, eseguita dai carabinieri della DDA partenopea su ordine della Procura arriva dopo che il 10 aprile scorso, la Cassazione ha annullato il provvedimento di custodia cautelare emesso nei confronti di Antonio (detto Ciaulone), Luigi e Benedetto Simeoli, titolare della Sime Costruzione e di un vero e proprio impero finanziario con sede a Marano, roccaforte dei Polverino e dei Nuvoletta. Dopo la decisione della Cassazione, però, i tre Simeoli dovevano attendere in carcere che il tribunale del riesame si esprimesse nuovamente, ma con l’operazione di oggi e le nuove accuse nei confronti degli indagati, le carte si rimescolano e, in base ai nuovi elementi raccolti, il tribunale del riesame si esprimerà nei prossimi giorni. Lo scorso 10 aprile, in particolare, la Cassazione espresse dubbi sui riscontri derivanti dalle dichiarazione dei pentiti per quanto riguarda la posizione di Antonio Simeoli e per errori metodologici per quanto riguarda invece la posizione di Luigi e Benedetto.
I tre furono arrestati nell’ottobre scorso, quando le forze dell’ordine, sequestrarono due complessi residenziali composti da 56 appartamenti e oltre 150 box auto. Per loro oltre all’accusa di associazione mafiosa, c’è anche quella di “costruzione di opere edilizie senza autorizzazione e falsità materiale e ideologica in atti pubblici, reati aggravati da finalità mafiose”. La società di costruzione legata ai tre arrestati avrebbe, sempre secondo l’ordinanza del gip, acquisiti terreni e fabbricati, edificato immobili sul territorio di Marano avvalendosi di “false attestazioni di conformità” per ottenere concessioni e autorizzazioni amministrative. Il valore degli immobili e dei beni sequestrati sfiorava il 30 milioni di euro, considerando anche 4 terreni e cinque automezzi e con i 10 milioni sequestrati questa mattina, il valore economico del patrimonio finito sotto chiave sale a 40 milioni di euro. Beni tutti riconducibili ai Simeoli.
Le società coinvolte nell’operazione erano sotto il diretto controllo dei Simeoli. Nell’inchiesta, avviato lo scorso ottobre, figuravano anche 4 tecnici comunali nei confronti dei quali sarebbero state fatte forti pressioni. Secondo gli inquirenti le relazioni con il clan Polverino erano funzionali, oltre all’arricchimento personale, anche all’immissione dei capitali nel traffico della droga.