Caivano. Quando la bara bianca esce sul sagrato si alza il ruggito delle motociclette: così i ragazzi del parco Verde salutano Emanuele, il rapinatore ragazzino ammazzato dai carabinieri, il loro amico. E non servono le parole di saggezza del parroco, don Maurizio, che ammonisce: «Emanuele è morto in un modo tragico, ma non è morto da eroe: era solo un ragazzo del ghetto». Questa è la loro giornata, la giornata degli adolescenti del parco Verde. L’hanno scritto in un cuore disegnato tra i graffiti sul muro scrostato tra la chiesa e il bar all’angolo: «Emanule, uno di noi». L’addio al compagno di giochi e di avventure li porta con prepotenza sulla scena dei media. E loro recitano il dolore, la rabbia, la ribellione, la sconfitta. In un paio di ore si consuma un terribile e pagano rito collettivo, La giornata comincia presto. La bara di Emanuele arriva poco prima delle 10 nella chiesa di San Paolo, la parrocchia che lo ha visto bambino quando passava i pomeriggi a ripetere le formule del catechismo e poi adolescente aspettare le ragazze poco più in là del portone. Ora sul cancello ci sono lenzuola bianche con grandi scritte: «Oggi c’è un nuovo angelo in Paradiso». E poi palloncini banchi e azzurri ed enormi nastri dello stesso colore. Ad aspettarlo ci sono la mamma, si chiama Liliana, ma per il quartiere è «Pupetta», il padre, Enzo, che per quel figlio continuava a spaccarsi la schiena lavorando come muratore, e la nonna Nunzia, e le sorelle, una si chiama Nunzia, l’altra Anita e i parenti più stretti. Ma con l’andare dei minuti cominciano ad arrivare anche gli amici: ci sono le sorelle di Salvatore Maio che con Emanuele e Salvatore Russo sabato sera era partito per rapinare coppiette, e ora con il complice resta in galera, ci sono gli amici con i quali restava quando non era preso dal suo lavoro di garzone di pasticceria, le ragazzine con gli occhi gonfi, i compagni di una vita assurdamente breve. Sulla bara i genitori poggiano la foto di Emanuele bello e sorridente e le scatole con le macchinine, e un piccolo casco, e una lettera battuta a macchina in fretta: «Amarti è stato facile – c’è scritto – dimenticarti sarà impossibile». Alle 11 la chiesa è gremita di ragazzi e il pianto della famiglia è un sussurro rotto solo dalle urla di un dolore che a tratti diventa insopportabile. Don Maurizio conquista a fatica l’attenzione per dare inzizio alla celebrazione. All’omelia le sue parole sembrano fermare per un attimo il cuore dei giovani. Alla fine, dopo l’ultima benedizione, quando i parenti sono ancora accasciati sul feretro, il primo gruppo di ragazzi si fa avanti, la bara bianca viene alzata in alto, sulle braccia tese; sui visi stravolti dalla rabbia e dal dolore. Le ragazzine applaudono, lanciano rose bianche che qualcuno ha portato avvolte nella carta stagmola. Il resto è un furioso corteo, un girovagare tra le strade del quartiere con Emanuele portato in trionfo tra il rombo delle moto spinte a tutto gas da ragazzi senza casco e le urla disperate. I ragazzi con la bara corrono prima verso la casa del morto, poi, con una precipitosa marcia indietro, si avviano verso il rifugio dove tutit insieme passavano le serate sotto una pensilina di legno costruita alla men peggio. La sorella, Anita, grida sconvolta: «Manu aspettami, non te ne andare», ma nessuno la sente nemmeno. I ragazzi vanno avanti, la rabbia, la disperazione per se stessi, per Emanule, per le loro vite bruciate, li spinge sempre più veloci. Passano tra le aiuole stinte, tra i viali squadrati, tra i palazzi di cartongesso, tra i negozi con le saracinesche abbassate. Non guardano niente, non vedono niente. La bara traballa, spinta dalla folla, a un certo punto sembra cadere, ma i ragazzi la riprendono a volo. Il papà e la mamma di Emanuele sono ormai lontani. Solo diversi minuti dopo riescono a ritrovare quel loro figlio che gli amici, ancora una volta, hanno portato lontano. E sono loro ad accompagnarlo, soli questa volta, fino al cimitero di Miano, per farlo riposare. Finalmente in pace.
DANIELA DE CRESCENZO
«I ragazzi bene vanno in piscina, chi vive qui si fa uccidere»
Caivano. «I figli di papà a quindici anni vanno in piscina, a scuola di ballo: i nostri, quelli di parco Verde, a quindici anni muoiono»: parole amare quelle di padre Maurizio Patriciello, parroco della chiesa di San Paolo dove si sono svolti i funerali di Emanuele. Nell’omelia lei ha condannato chi ha creato rioni come parco Verde, perché? «Perché in questo ghetto di periferia si nasce con il destino segnato dalla miseria, soprattutto morale, dall’abbandono, dallo squallore. I giornali ora parlano tanto di Scampia ma questa nostra è una piccola Scampia. Sono tanti, troppi, i ghetti che bruciano le esistenze dei ragazzi». Ce l’ha con le istituzioni? «Dico soltanto che quando succedono cose come queste, quando ci si ammazza, arrivano le istituzioni. Ma quello che succede nelle nostre strade lo sanno tutti. E io mi domando: perché arrivano sempre dopo? Perché fingono di scoprire solo in queste occasioni quello che succede quotidianamente?». È duro il lavoro del parroco di periferia? «È difficile trovare risposte alle domande dei giovani, delle loro famiglie: quando hanno un problema morale io posso essere loro vicino, offrire il mio sostegno. Ma quando chiedono cose concrete, quando chiedono lavoro, io sono disarmato». Alla comunione lei ha invitato solo quelli che hanno «la coscienza a posto», quelli che sanno di non aver non aver fatto del male. Si sono avvicinati in pochi, è un segno? «Non me la sento di commentare. Anche su quello che è successo non offro giudizi: sapeva il carabiniere che quella era una pistola giocattolo? Sapeva che dall’altro lato c’era un ragazzino? Su questo lascio agli esperti fare il loro mestiere. Ma quel militare, secondo me, è un’altra vittima di questa storia. E un’altra cosa è certa: quindici anni sono veramente troppo pochi per morire». Che cosa pensa di quello che è successo stamattina? «Questa emozione incontrollata che trasforma il corteo funebre quasi in un festa È il loro modo di essere solidali. Qui oggi ci sono centinaia di ragazzi, che, a modo loro, mostrano un dolore vero».
d.d.c.
Il legale: ancora troppi punti oscuri
«Non crediamo alla ricostruzione dei fatti fornita dai carabinieri»: lo ha ripetuto anche ieri la famiglia di Emanuele che ha nominato un legale,Emilia Santagata, per essere rappresentata. «Mi sono già messa in contatto con i colleghi che difendono gli altri due ragazzi implicati nella rapina – spiega il legale – Sono molte le cose che non sono ancora chiare. E soprattutto non è stato accertato se i giovani avessero effettivamente una pistola giocattolo. Salvatore Russo, che ha accettato di rispondere ai giudici, infatti, ha negato questa circostanza e a quel che mi dicono i verbali non risultano verbali di sequestro dell’arma» Sul corpo di Emanuele è stata effettuata anche la prova dello stube per accertare se effettivamente ha sparato, come ricostruito nel corso delle prime indagini. Prosegue, intanto, l’inchiesta del pm Gloria Sanseverino che ha inviato nei giorni scorsi due informazioni di garanzia nei confronti dei militari con l’ipotesi di omicidio colposo per eccesso nell’uso legittimo delle armi. mentre restano in carcere Salvatore Maio e Salvatore Esposito, gli altri due ragazzi che nella notte tra sabato e domenica avevano tentato di rapinare coppiette con Emanuele. Nell’udienza di convalida dell’arresto Maio, difeso da Francesco Paone e Maurizio Capozzi, si è avvalso della facoltà di non rispondere. Russo, assistito da Francesco Liguori, ha invece accettato di parlare.
IL MATTINO 20 FEBBRAIO 2005


