«I detenuti non hanno problemi, che ne sanno delle bollette, delle scadenze? Hanno vitto e alloggio pagati dallo
Stato». Si potrebbe sintetizzare in questo modo il pensiero dell’italiano medio, di chi al
sicuro in casa propria ignora l’inferno delle carceri. Ma la realtà vissuta dai reclusi riesce a superare l’immaginazione. Quella che viene fuori da Poggioreale, la più
grande casa circondariale
del Mezzogiorno, non è la
solita storia di sovraffollamento.
È un racconto del
quotidiano, cronaca di una
“normale” giornata dietro le
sbarre.
LA SPESA
Se è vero che i detenuti
hanno diritto ai servizi forniti dalle mense dell’amministrazione penitenziaria, è
altrettanto vero che molti preferiscono
provvedere da soli ad almeno un pasto giornaliero. Per
farlo devono recarsi nello
spaccio interno all’istituto di
pena dove avviene la vendita
di ciò che è definito “sopravvitto”. Si tratta di articoli, generi alimentari e per l’igiene
personale, che non possono
essere introdotti con le visite
settimanali di familiari. I
colloqui, quattro in un mese,
danno la possibilità ai parenti
del detenuto di consegnare
un “pacco” del peso massimo
di 5 chili. All’interno possono
esserci tovaglie, biancheria e
salumi già affettati e riposti
in confezioni di carta. Tutto
il resto non è concesso.
È
qui che monta il business. Farina, pasta, pane, latte, uova,
verdura, detersivo, sapone,
shampoo e bagnoschiuma.
E ancora scopino per il water, mollette per il bucato,
sacchetti per la spazzatura,
caramelle, stuzzicadenti,
dentifricio, deodorante, rasoi
usa e getta, spazzolini per
denti, frutta e verdura: tutto
ciò può, anzi deve, essere acquistato nel market interno.
Utilizzando una copia del
listino prezzi dello spaccio
di Poggioreale è possibile simulare l’acquisto di prodotti
per una semplice (e modesta)
cena e confrontare i prezzi
con un supermercato di media fascia.
LA CENA DI LUSSO
Si inizia con l’acquisto della
bombola di gas da 190 grammi dotata di un fornelletto
con bruciatore. È questa la
“cucina” del detenuto. A Poggioreale il “Provvidus” (questo il nome dell’articolo) viene
pagato 2,05 €, all’esterno
1,15€. Poi si passa alla pasta; il
menù della serata-tipo prevede penne in bianco con tonno.
Un pacco da mezzo chilo costa nello spaccio del carcere
0,66 €, venti centesimi in
più rispetto a un discount. Il
tonno, nella confezione da
80 grammi, viene venduto
a 0,90 € (+12 centesimi).
Si
passa a pentole e padelle.
Entrambe si acquistano con
la modica cifra di 15 euro e
98 centesimi (+6 €). Ma per
consumare la cena è necessario avere piatti e posate. Una
confezione da 100 di “fondi”
costa 3, 35 € (a fronte di 1,50€ in un supermercato all’esterno), i cucchiai in plastica
“appena” 75 centesimi. Ora
la pasta al tonno può essere
servita, accompagnata da
una bottiglia d’acqua da un
litro e mezzo (60 centesimi).
Lo scontrino, ma sarebbe più
opportuno parlare di “conto”,
finale della cena in cella segna il totale di 24,29 €.
IL BORSINO
Il carcere, si sa, è fatto di regole. Una di queste prevede
un massimo di disponibilità
economica per il detenuto.
La cifra che ogni recluso
può avere con sé è di 150
euro mensili. «Naturalmente
questo discorso vale per chi
i soldi ce li ha».
A parlare è
Pietro Ioia, un uomo divenuto il simbolo della lotta per i
diritti dei detenuti. Un quarto
della sua vita l’ha trascorsa
dietro le sbarre, il resto la
passa denunciando soprusi
e angherie, uno su tutti lo
scandalo della famigerata
“Cella Zero”.
«È sconvolgente
quello che avviene a Poggioreale per quanto riguarda
il sopravvitto – spiega Ioia
– i prezzi nello spaccio interno in alcuni casi superano
le tariffe dei supermercati
“esterni” e tutto ciò in pieno conflitto con il calmiere
previsto per gli appalti con
enti dello Stato». Sì, perché
il market interno alla casa
circondariale è gestito da
una ditta («Saranno più di 20
anni che l’appalto viene vinto
da loro», commenta Ioia) a
seguito di una regolare gara
d’appalto.
Il confronto, però,
con i prezzi imposti da altri
esercizi commerciali rivela
delle anomalie. La “cena del
detenuto” a base di pasta e
tonno lontano dalle sbarre
sarebbe costata 10,59 €. Meno
della metà. D’altra parte è
bastato visitare un supermercato (nello specifico uno dei
centri della catena “Sole”) per
rendersi conto dei prezzi fuori piazza degli articoli messi
in vendita nella casa circondariale napoletana. «Molti
detenuti, una volta usciti da
Poggioreale, hanno lamentato anche la scarsa qualità
dei prodotti. Il tutto in barba
alle direttive del Dap che
prevedono verifiche sui generi in vendita. Ho inoltrato
queste lamentele al direttore
del carcere» conclude Pietro
Ioia.
“A che bell’ò cafè, pure in
carcere ‘o sanno fa” cantava
De Andrè nel 1990 con la sua
“Don Raffaé”. Tempi lontani.
Il caffè, oggi, costa quasi due
euro a tazzina, «E non è nem-
meno buono».
FONTE: Giancarlo Palombi – Metropolis