Clan Mallardo, processo ‘Caffè Macchiato’. Il Pm: «La condanna in primo grado è un importante spartiacque»

“Una sentenza condivisibile perchè mette segna un passo fondamentale alla lotta della criminalità organizzata in quanto ha dato un concreto riscontro giudiziario alle infiltrazioni del clan Mallardo nel tessuto socio-economico del territorio giuglianese”. Questo l’incipit dell’appello con cui il Pm si è opposto alla sentenza di primo grado emessa dalla VII Sez. Collegio A del tribunale di Napoli nel processo ‘Caffè Macchiato’, che vede imputate 50 persone tra affiliati e prestanomi del clan Mallardo.

Il Pm ha sottolineato come il tribunale, in primo grado, abbia sposato quasi in toto la tesi della Procura, salvo discostarsi in alcuni punti che rientrano negli otto motivi d’Appello.
In primis è stata contestata dal pm la mancata individuazione del concorso di Francesco Seddio nell’imposizione del caffè. Il secondo motivo d’Appello è la configurabilità del reato di estorsione aggravata in relazione all’imposizione del caffè a carico di diversi commercianti del giuglianese e del casertano, dunque non solo a carico dei Froncillo. Contestata dall’accusa anche la mancata individuazione del delitto associativo per la cellula operante nel Lazio, la posizione dei prestanome per l’intestazione di beni e società, la mancata individuazione del delitto di riciclaggio per alcuni imputati e, infine, la mancata confisca.


Riguardo al primo punto, secondo l’accusa il clan Mallardo, attraverso Pino d’Alterio e Carlo Antonio d’Alterio, avrebbe imposto il caffè a diverse attività e non solo al bar Suisse dei Froncillo. A dimostrarlo sarebbero oltre ad alcune intercettazioni, anche diversi collaboratori di giustizia che avrebbero dichiarato come quello del “caffè era un vero e proprio business del clan”. Compartecipe diretto di questo affare sarebbe, secondo l’accusa, l’imprenditore Francesco Seddio che invece in primo grado è stato assolto.