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«Sono diventato un camorrista a 13 anni». Estorsioni, agguati e rapine nella storia del baby boss

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«Ho deciso di collaborare con la giustizia per salvarmi da questa vita scellerata. L’ho fatto per dare un futuro migliore ai miei figli e a mia moglie» comincia così la deposizione di Marco Cefariello, 31 anni, capoclan pentito del clan Birra-Iacomino. Giovane ma con alle spalle una storia di estorsioni, agguati e rapine che, a soli 22 anni, lo hanno fatto diventare uno dei boss più temuti dell’area vesuviana. Dopo due anni di carcere ha così deciso di collaborare con la giustizia e di salvare quello che resta da salvare per poter sperare, un giorno, di poter vivere una vita normale e permettere alla sua famiglia di fare lo stesso.

«Sono stato un affiliato fin da quando ero minorenne era il 1999 quando entrai nel clan Birra-Iacomino». Aveva solo 13 anni quando decise di entrare a far parte della camorra, poi la scalata delle posizioni nel sodalizio: «Sono stato un reggente del clan fino al 2009 anche se non percepisco una remunerazione. Ma non ho mai commesso omicidi per il clan a cui ero affiliato» Come riporta Metropolis, dei suoi 31 anni Cefariello ne ha spesi almeno 18 al servizio di Giovanni Birra e Stefano Zeno, i due padrini fondatori della cosca di corso Resina.

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