Li hanno scovati a casa di una cugina a Boccea, alla periferia di Roma. Si nascondevano più che dai carabinieri dalla furia di chi ora vuole vendicare Emanuele. Mario Castagnacci e Paolo Palmisani, 27 e 24 anni, fratellastri, sono i primi due a finire in carcere per la sua morte. L’accusa per loro è di omicidio volontario. Mario, già pregiudicato per droga, la sera prima del delitto era stato fermato di nuovo dalle forze dell’ordine a Roma con tre amici: avevano dosi di droga. Ma il mattino successivo erano stati rilasciati
Castagnacci era stato fermato il 23 marzo nel corso di un’operazione antidroga al Pigneto. Il pm aveva sollecitato l’obbligo di firma, ma il giudice il giorno successivo, al termine della direttissima, l’aveva scarcerato rigettando la richiesta dell’accusa. Il blitz era scattato a seguito di un’attività informativa da parte dei carabinieri della compagnia San Pietro. Era stato perquisito un appartamento nel popolare rione dove Castagnacci si trovava con altre tre persone – due uomini e una donna – ed erano stati sequestrati 43 grammi di hashish, 6 di marijuana e 7,5 di cocaina divisi in quattro involucri. Il maggiore quantitativo i carabinieri lo avevano trovato indosso a Castagnacci e nella sua stanza, circa 40 grammi di hashish. Il giudice convalidando l’arresto di Castagnacci e degli altri tre aveva rilevato: «Tutti gli imputati sono stati trovati all’interno di un’abitazione ove erano detenute le diverse sostanze stupefacenti sequestrate. Sempre nell’abitazione vi erano strumenti utili al confezionamento delle dosi e appunti che potevano verosimilmente ritenersi riconducibili alla tenuta contabilità con i clienti». Su Castagnacci inoltre il magistrato aveva precisato che «aveva in tasca ulteriore sostanza stupefacente» e che nella sua stanza «era detenuta gran parte della sostanza».
In attesa dell’udienza
Ora, quattro giorni dopo la morte di Emanuele, Mario assieme a Paolo, è tornato in carcere. Il pm romano Stefano Rocco Fava ritiene i due fratellastri responsabili «di una violenza feroce». Inoltre, se lasciati liberi, «possono cercare di influire sulla genuinità delle dichiarazioni che verranno rese da chi è a conoscenza dei fatti». Sì, perché come ha sottolineato ieri il procuratore capo di Frosinone Giuseppe De Falco, racconti contraddittori e omertà sono le caratteristiche di questa vicenda, nella quale adesso irrompe anche la guerra fra clan: minacce e avvertimenti ai parenti degli arrestati e ai cinque indagati per ora solo per rissa — uno, assistito dall’avvocato Giampiero Vellucci, è tuttora latitante —, con auto incendiate, insulti in piazza al padre di Castagnacci (indagato anche lui), spedizioni negli studi legali. La famiglia Palmisani è fuggita.