Un filo rosso sangue. L’omicidio di Raffaele Ranucci, ritenuto da polizia a carabinieri l’attuale reggente dell’omonimo clan di Sant’Antimo, ucciso sabato pomeriggio a colpi di pistola alla testa mentre in bicicletta ritornava a casa per il pranzo, potrebbe essere legato all’uccisione di Antonio Orefice, uomo di punta dei Moccia, e a quella di Carlo Cascella, socio di Raffaele Ranucci, avvenute la prima l’otto novembre dello scorso anno a Frattamaggiore, la seconda tre giorni dopo a Sant’Antimo. A unire tutti è tre gli omicidi, secondo gli investigatori, c’è la pista che porta al controllo di un grosso giro di usura e a partite di droga non pagate. Uno sgarro che si paga con la vita. Questa sembra essere l’ipotesi investigativa più seguita a poche ore dall’agguato di via Fermi a Sant’Antimo, dai carabinieri e dai magistrati della direzione ditrettuale Antimafia del Tribunale di Napoli, che coordinano le indagini su questo omicidio eccellente le cui conseguenze possono far scatenare una vera e propria guerra di camorra. La morte del fratello di Geremia Ranucci, il fondatore del clan, ucciso a sua volta una decina di anni fa a Calabritto, in un salone di barbiere, potrebbe innescare una nuova e violenta faida tra i clan Verde, Puca e Ranucci-Petito, le cosche che controllano tutti i traffici illeciti tra Sant’Antimo, Casandrino, Grumo Nevano e Frattamaggiore. Raffaele Ranucci, da circa un anno era stato controllato più volte a Frattamaggiore, in compagnia di pregiudicati del posto, orbitanti in quella area criminale locale controllata proprio da Antonio Orefice, «cresciuto» in senso letterale nella famiglia dei Moccia. Un legame che gli investigatori definivano di livello parentale e che tuttavia non gli consentì di evitare di cadere in un vero agguato di camorra. Tre giorni dopo l’uccisione di Antonio Orefice, i killer entrarono in azione a Sant’Antimo, nel bar gestito da Carlo Cascella, socio in affari di Raffaele Ranucci. Obiettivo del commando erano proprio i due soci. Ma quella sera, gli assassini trovarono solo Carlo Cascella, che fu investito da una scarica di colpi, morendo all’istante. Dopo questo omicidio, Raffaele Ranucci diventò molto prudente, tanto da limitare al minimo indispensabile le sue uscite e facendo gestire le attività del clan al nipote Stefano, figlio di Geremia. Ma la sua sorte era segnata. Chi ha deciso la sua morte, ha preparato una trappola a lungo respiro, facendo credere a Raffaele Ranucci, che la «vicenda» era chiusa con quei due morti. Un doppio gioco mortale che ha funzionato, tanto che sabato pomeriggio il boss è andato incontro alla morte, pedalando in tutta tranquillità come un normale pensionato.
Marco Di Caterino – Il Mattino 15 maggio 2006
E ora si teme la risposta dei Ranucci
Presidiati i “fortini” del clan Verde e della “famiglia” della vittima
SANT’ANTIMO. Non si sentiva nel mirino,
per questo se ne andava tranquillamente
in giro da solo e in bicicletta.
Ma chi ha deciso di ammazzare Raffaele
Ranucci, 58enne, ha voluto dare
un chiaro segnale al fratello Antimo,
detto “Mimmotto”, attuale ras
della cosca familiare. Un segnale chiaro
che riguarda la gestione e la spartizione
degli affari illeciti in un territorio-
cuscinetto, come quello di
Sant’Antimo, che potrebbe aprire
una nuova guerra di camorra dopo
quella di Caivano. I vertici del clan
Verde, in qualche modo rivale dei Ranucci,
sono stati azzerati nel corso di
due maxi-operazioni portate a termine
lo scorso anno e all’inizio di questo
e di certo gli equilibri criminali sono
mutati facendo pendere la bilancia
proprio dalla parte della famiglia Ranucci.
I killer hanno scelto il personaggio
meno rappresentativo della famiglia,
quello meno protetto, Raffaele
appunto, che aveva un ruolo di sicuro
molto defilato o addirittura inesistente
nella gestione degli affari di
famiglia.
Ora, però, gli esperti “007” anticamorra
di polizia e carabinieri temono
una violenta risposta dei Ranucci. Un
gesto altrettanto eclatante che potrebbe
fare precipitare ulteriormente la situazione
criminale ed aprire un nuovo
fronte di lotta tra clan. Per questo
motivo carabinieri e polizia stanno
presidiando i quartier generale delle
due cosche in contrasto soffocando
sul nascere ogni tentativo di vendetta
ma anche controllando, con perquisizioni
e Stube, alcuni “guaglioni”
che potrebbero essere stati implicati
nell’agguato di via Enrico Fermi. La
macchina investigativa è in moto e risultati
potrebbero arrivare ben presto.
Tra oggi e domani sul cadavere di Raffaele
Ranucci sarà effettuata l’autopsia
e il cadavere verrà restituito alla famiglia
per i funerali, categoricamente
privati con la sola benedizione e il
trasporto al cimitero per l’interro.
Erano le 14 di sabato quando è scattato
l’allarme tra i carabinieri della locale
stazione e i colleghi della compagnia
di Giugliano, coordinati dal tenente
Russo. Si sono precipitati in via
Enrico Fermi, dove c’era il cadavere di
Raffaele Ranucci in una pozza di sangue
e con quattro fori di proiettile alla
testa. Nessun testimone, cosicché la
dinamica dell’agguato è stata ricostruita
attraverso testimonianze vaghe
e frammentate raccolte nei dintorni.
Secondo gli investigatori dell’Arma
Raffaele Ranucci, che non era il reggente
del clan, stava tornando a casa
dopo una passeggiata in bicicletta per
mantenersi in forma: un’abitudine
che aveva preso da qualche tempo e
della quale evidentemente i sicari sapevano.
Infatti l’hanno atteso in una
zona abbastanza isolata, oltretutto in
un orario in cui la maggior parte delle
persone sta a tavola per il pranzo.
Sul posto poco dopo sono arrivati
anche i figli e la moglie di Ranucci che
non si sono abbandonati alle solite
scene di disperazione. Una delle figlie
si è sentita male ed è stata soccorsa e
trasportata a casa. Anche la moglie ha
perso i sensi. Il cadavere poco dopo è
stato rimosso dalla polizia mortuaria.
GIOVANNI COSMO – IL ROMA 15 MAGGIO 2006