E’ un fiume in piena Pasquale Pesce. Racconta ai magistrati episodi, ricorda date, retroscena di quella che poteva essere una vera e propria mattanza. Si sofferma in particolare sul piano per farlo fuori:«Giuseppe Mele voleva consegnare una pistola a mio cugino Salvatore Marfella. Se mi avesse ucciso avrebbe ottenuto in cambio il comando delle palazzine di via Cannavino. Con la mia morte sarebbe stata sancita la pace tra i Marfella e i Mele». Stando al racconto del boss, il giovane affiliato rifiutò l’incarico e la scia di sangue continuò. E’ questo uno degli aspetti più inquietanti di quella che è stata ribattezzata ‘la faida dei cugini’.
La vicenda è stata messa a verbale nel corso del primo interrogatorio reso dal 41enne capoclan pianurese. Pasquale Pesce, infatti, dal 12 luglio scorso è divenuto un collaboratore di giustizia. L’ormai ex capoclan pianurese ha già fornito delucidazioni importanti su almeno due omicidi, vale a dire quelli di Giuseppe Perna e Luigi Aversano, e si dichiara pronto a risolverne almeno un’altra dozzina. «Marfella mi riferì che Giuseppe Mele gli aveva proposto di dargli una calibro 38 per uccidermi e in cambio avrebbe avuto il comando delle palazzine di via Cannavino e delle relative piazze di spaccio. Marfella si rifiutò e Mele non la prese bene. Per come ho potuto ricostruire, la mia morte doveva essere in realtà il sacrificio per la pace tra i Marfella e i Mele».
Camorra di Pianura.«Con la mia morte i Mele si sarebbero presi tutte le palazzine», ecco il piano per uccidere il boss
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