QUALIANO – Ha pagato caro il suo sgarbo alle leggi della camorra. Domenico Cacciapuoti, l’imprenditore 56enne di Qualiano, che – dieci anni orsono – con la sua denuncia spedì in carcere mezzo clan Alfano, ha subito l’ultimo torto: bruciate le due auto. Lunedì pomeriggio è stato ricevuto prima dal questore di Napoli, Franco Malvano, e poi dal dirigente della squadra mobile Giuseppe Fiore, nonché dal vicequestore capo dell’antiracket Loredana Di Persia. Ha raccontato la sua storia, il signor Cacciapuoti, l’imprenditore coraggio. Da dieci anni dura il suo inferno. La sua vita era stata stravolta nel 1993, quando aveva deciso di ribellarsi al racket. Per l’esattezza si trattava degli uomini dell’allora potente clan Alfano, che dominava i quartieri collinari del Vomero e dell’Arenella. Cacciapuoti era titolare di un’impresa con 38 dipendenti e nel 1990 si era aggiudicato i lavori di ristrutturazione di un palazzo in via Domenico Fontana, di proprietà di Giulio Ferlaino. “Si presentarono Maurizio Brandi, Tonino Caiazzo e Luigi Cimmino – raccontò allora Cacciapuoti – Chiesero 300 milioni, mi accordai per cento milioni, in quattro rate da 25. Ma poi arrivammo a 197 milioni. Alla fine non ce la feci più: sono stato una settimana con il pm Cafiero a raccontare due anni di ricatti”.Niente, da quel momento, è stato più come nel passato. Prima le minacce, poi l’auto incendiata, infine il trasferimento obbligato. Il lavoro a rotoli. Ma la polizia fa piazza pulita: il clan viene decapitato. Fondamentali le deposizioni dell’imprenditore antiracket.
All’incontro di lunedì, il questore Malvano ha assicurato il massimo interessamento al caso, a partire dalla sorveglianza alla casa. Inoltre sono stati mobilitati gli agenti della squadra mobile e quelli del commissariato di Giugliano/Villaricca, diretti dal vicequestore Alberto Francini, per cercare di conoscere la provenienza dell’attentato subito nella notte tra sabato e domenica.