Una bandiera della Palestina è esposta sulla facciata di Palazzo San Giacomo, sede storica del Comune di Napoli.
L’iniziativa è stata voluta dal sindaco Gaetano Manfredi su richiesta dei consiglieri comunali.
Un gesto “inequivocabile”, dice il capogruppo Dem Gennaro Acampora: “la città non può restare indifferente di fronte ad un genocidio”.
Mossa di Meloni, sì alla Palestina ma a due condizioni. L’opposizione la gela
Una mozione della maggioranza per il riconoscimento della Palestina ma subordinato a due condizioni, ossia la restituzione degli ostaggi da parte di Hamas e la sua esclusione da ogni forma di governo nella Striscia: è la mossa a sorpresa annunciata dalla premier Giorgia Meloni parlando con la stampa a margine dell’assemblea generale dell’Onu, dove ha detto di aver “condiviso molti passaggi dell’intervento del presidente americano”, dall’immigrazione al Green Deal, sino alla necessità di rendere efficienti gli organismi multilaterali.
Un’iniziativa che arriva alla vigilia del suo intervento (in italiano) al Palazzo di Vetro nella notte tra mercoledì e giovedì, mentre è incalzata su due fronti: da un lato l’ondata di ulteriori riconoscimenti della Palestina all’Onu, che hanno isolato l’Italia e la Germania in Europa, dall’altro le proteste di piazza, sfociate anche in alcuni episodi violenti, e gli attacchi delle opposizioni sullo sfondo di un’opinione pubblica interna sempre più pro Gaza. Ma per la segretaria del Pd Elly Schlein “non è il momento di giochi di prestigio e delle prese in giro”, mentre per il leader del M5s Giuseppe Conte “l’ultima ‘trovata’ di Meloni è un misero espediente che conferma l’ignavia del nostro governo”.
La premier ha tirato fuori dal cilindro una soluzione analoga a quella illustrata lunedì dal Belgio al Palazzo di Vetro, dove il premier Bart De Wever ha annunciato che il riconoscimento legale della Palestina entrerà in vigore solo dopo che tutti gli ostaggi a Gaza saranno rilasciati e Hamas sarà rimosso dal governo locale.
La premier ha spiegato così il suo ragionamento: “Io personalmente continuo a considerare che il riconoscimento della Palestina in assenza di uno Stato che abbia i requisiti della sovranità non risolva il problema, non produca risultati tangibili, concreti per i palestinesi. Dopodiché si dice che però il riconoscimento della Palestina può essere un efficace strumento di pressione politica e va bene, capisco, però dobbiamo anche capire su chi. Io penso che la principale pressione politica vada fatta nei confronti di Hamas perché è Hamas che ha iniziato questa guerra ed è Hamas che impedisce che la guerra finisca rifiutandosi di consegnare gli ostaggi”.
Meloni ha quindi annunciato che “la maggioranza presenterà in aula una mozione per dire che il riconoscimento della Palestina deve essere subordinato a due condizioni: il rilascio degli ostaggi e ovviamente l’esclusione di Hamas da qualsiasi dinamica di governo all’interno della Palestina, perché dobbiamo capire quali sono le priorità giuste”.
Una mossa anche per spiazzare l’opposizione, sfidandola a una mozione bipartisan per disinnescare le crescenti tensioni interne: “Penso che un’iniziativa del genere – ha auspicato – possa trovare anche il consenso dell’opposizione, non trova sicuramente il consenso di Hamas, non trova magari il consenso da parte degli estremisti islamisti, ma dovrebbe trovare consenso nelle persone di buon senso”.
Da Palazzo Chigi il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari rilancia: “Le parole del presidente Meloni sul Medio Oriente chiariscono che per il governo italiano non è il momento della propaganda ma quello della serietà. Non può esserci alcun riconoscimento dello Stato palestinese senza la liberazione degli ostaggi e la rinuncia da parte di Hamas a qualsiasi ruolo nel futuro della Palestina. Ora l’auspicio è che non ci sia alcuna ambiguità su Hamas e che il Parlamento voti compatto la mozione della maggioranza”. Anche i due vice premier, Antonio Tajani e Matteo Salvini, ribadiscono che Hamas resta un ostacolo al riconoscimento della Palestina, farlo ora è “un favore ai terroristi islamici” secondo il leader della Lega. Ma la prima reazione dell’opposizione gela la premier. Schlein si chiede se “Giorgia Meloni comincia a capire che sulla Palestina sta perdendo la faccia di fronte al mondo e alla nostra opinione pubblica”.
“Ma non è il momento – avvisa – di giochi di prestigio e delle prese in giro. Riconosce lo Stato di Palestina, come hanno fatto oltre 150 paesi e ieri anche Francia e San Marino, oppure non lo riconosce?”. “Basta propaganda. Riconoscere la Palestina significa riconoscere l’Anp, non certo i terroristi di Hamas che non possono essere il futuro di Gaza. O pensa che Francia, Spagna e Regno Unito abbiano fatto il contrario?”, incalza, ammonendo che “se aspetta ancora rischiamo che non ci sia più nessuno da riconoscere”. Per il leader del M5s Giuseppe Conte, “il riconoscimento di uno Stato è un atto formale, che in questo caso ha anche un alto valore simbolico oltreché politico. O lo fai o non lo fai. Perché l’Italia non può unirsi ad altri 150 e più Paesi che hanno già riconosciuto lo Stato della Palestina? L’ipocrisia del nostro Governo che continua a stare al fianco di Netanyahu è oscena. Se l’Italia non si affretta non ci saranno più le condizioni per il riconoscimento: semplicemente perché non ci sarà più la popolazione palestinese”. E mentre l’opposizione affonda la sua proposta, Meloni continua a tessere la sua tela mediorientale in una serie di bilaterali con leader del Medio Oriente.
La mappa dei paesi che riconoscono la Palestina
La Francia è stata l’ultimo paese in ordine di tempo a riconoscere formalmente lo stato di Palestina, in occasione dell’annuale Assemblea generale delle Nazioni Unite (ONU) a New York. Domenica lo avevano fatto anche Portogallo, Regno Unito, Canada e Australia. Altri paesi, tra i quali il Belgio, hanno detto che lo faranno in questi giorni. Il numero dei paesi dell’ONU che riconoscono la Palestina è arrivato a 152 su 193. L’Italia è tra quelli che ancora non lo hanno fatto, che sono in prevalenza occidentali. La mappa qui sotto riepiloga le posizioni dei vari stati, con l’anno del riconoscimento.
Il riconoscimento è una misura prevalentemente simbolica. In questo momento è soprattutto un modo per fare pressione politica su Israele, aumentandone l’isolamento internazionale, con l’obiettivo di fermare i gravi crimini commessi dal suo esercito nella Striscia di Gaza e spingere il primo ministro Benjamin Netanyahu ad accettare il cessate il fuoco che sta impedendo.
Sono almeno 14 i paesi che hanno riconosciuto la Palestina negli ultimi due anni. Prima degli ultimi cinque, nel 2024 lo avevano fatto tra gli altri Spagna, Norvegia e Irlanda. Ogni volta che se n’è aggiunto uno, il governo di estrema destra di Netanyahu ha ripetuto che la creazione di uno stato palestinese non è un’opzione. Domenica il governo israeliano ha minacciato di annettere gran parte della Cisgiordania, territorio che già occupa illegalmente attraverso la costruzione di sempre più colonie.
È previsto che all’Assemblea Generale dell’ONU intervengano sia Netanyahu sia il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas. Il secondo, però, non potrà farlo di persona perché il governo degli Stati Uniti, uno dei più stretti alleati di Israele, ha negato il visto a lui e alla delegazione palestinese (l’ANP è l’entità, in crisi da tempo, che governa in modo semiautonomo alcune zone della Cisgiordania ed è riconosciuta dalla comunità internazionale come governo legittimo del popolo palestinese).
Come detto, l’Italia è tra i paesi che non riconoscono la Palestina. Nelle scorse settimane ha votato a favore della risoluzione presentata all’ONU a luglio da Francia e Arabia Saudita che prevede un piano in 42 punti per attuare la “soluzione dei due stati” (cioè per la coesistenza tra uno stato palestinese a fianco di Israele prevista dagli storici accordi di Oslo del 1993) dopo un cessate il fuoco a Gaza. La posizione del governo italiano, ribadita anche in questi giorni, è subordinare il futuro riconoscimento di uno stato palestinese alla fine della guerra di Israele: insomma, a non farlo ora.


