Clan De Rosa, torna in carcere un fiancheggiatore della cosca. Era stato scarcerato dal Riesame: la Dda ha fatto ricorso ed è stato rispedito in cella. E così che Michele Nocera, 36enne di Castelvolturno, è ritornato in carcere. L’uomo è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, in pratica si occupava di allertare gli affiliati della cosca nascosti a Castelvolturno dell’arrivo delle forze dell’ordine. A stringergli le manette ai polsi sono stati gli agenti del commissariato di polizia di Giugliano, diretti primo, dirigente Rossella Zingaro e dal
vicequestore aggiunto Maria Rosaria Romano. Era lo scorso aprile quando furono effettuati venticinque arresti, nei confronti di persone tutte ritenute affiliate alla cosca capeggiata dal boss Paride De Rosa. Venticinque persone residenti a Qualiano, Giugliano, Pozzuoli, Maddaloni, Casalnuovo, Casoria, Castelvolturno e Secondigliano. Tra loro due persone ritenute vicine ai Longobardi-Beneduce di Pozzuoli, e altre due ritenute vicine al gruppo dei Farina di Maddaloni (Michele e Vincenzo Ferraro). Le accuse andavano dalle estorsioni all’usura, dagli omicidi ai tentati omicidi. L’inchiesta grazie anche alle dichiarazioni di
sei pentiti: Chianese, D’Arbitrio, Cappiello e sua moglie Maria Grazia Romano, Ciro Pianese e Sulmonte. E così che gli agenti della Squadra Mobile Napoli, del commissariato di polizia di Giugliano, dagli uomini della Compagnia dei carabinieri di Giugliano, alle prime luci dell’alba, eseguirono 25 ordinanze di custodia cautelare, emesse dal gip del Tribunale di Napoli, nei confronti di appartenenti al clan De Rosa operante nella zona di Qualiano. Gli stessi, secondo l’accusa, si resero responsabili dei reati di associazione mafiosa, estorsione, omicidio e tentato omicidio, traffico di droga, porto e detenzione illegale di armi. Erano diventati il terrore dei commercianti e degli imprenditori di Qualiano, perchè avrebbero tentato di imporre il pizzo su ogni attività economica. Ma non solo: controllavano anche il giro dell’usura. Carabinieri e polizia però indagarono a fondo ricostruendo, tassello dopo tassello, quanto avvenuto nelle fila del clan capeggiato da Paride De Rosa, rimasto fedelissimo di Nicola Pianese, detto ‘o mussuto. Alla morte di quest’ultimo, avvenuta nel 2006 a seguito di un agguato, ci fu una scissione nel clan per il controllo del territorio e una guerra combattuta a colpi di agguati, con numerosi omicidi. Una indagine attenta che si è sviluppata
in due fasi – la prima seguita dalla polizia (squadra mobile della Questura di Napoli e commissariato di Giugliano), la seconda dai carabinieri della Compagnia di Giugliano – che si è avvalsa anche del contributo di alcuni collaboratori di giustizia. Gli investigatori scoprirono i presunti responsabili di agguati, danneggiamenti ed estorsioni. Le ‘quote’ del pizzo aumentavano soprattutto in prossimità delle festività, così come avvenuto nella Pasqua del 2008. Richieste sempre piu’ pressanti le due fazioni in lotta provvedevano al mantenimento anche delle famiglie degli affiliati finiti in carcere. Ma non solo. Un ruolo strategico
sarebbe stato ricoperto anche da alcune donne, come la moglie del ‘capo’, Paride De Rosa. Arrestato nel 2008 per detenzione di anni e condannato dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, l’uomo tramite la moglie, avrebbe mantenuto i reggenti del clan. Nell’inchiesta giunta ieri ad una svolta che i 25 arresti si è fatta luce due omicidi avvenuti tra il 2007 ed il 2009, ben cinque, su un pestaggio verificatosi nel 2008, su due attentati avvenuti tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009. Al centro dell’inchiesta l’agguato a Raffaella D’Alterio, la vedeva del capo clan Pianese, e ai danni di un’altra donna, Fortuna Iovinella.
(Mariano Fellico – Cdn)