Home Cronaca BANDITO UCCISO, ECCESSO DI LEGITTIMA DIFESAQualiano: formalizzata l’accusa al vigilante

BANDITO UCCISO, ECCESSO DI LEGITTIMA DIFESA
Qualiano: formalizzata l’accusa al vigilante

PUBBLICITÀ


QUALIANO. Eccesso colposo di legittima difesa. Questa l’accusa di cui deve rispondere Erman D’Abronzo, 40 anni, il vigilante della New Police Security che giovedì sera ha ucciso a Qualiano Agostino Fammiano, 25 anni, uno dei malviventi che voleva rubargli l’auto. L’agente ha risposto a tutte le domande degli investigatori e ha ricostruito nel dettaglio la dinamica della rapina sfociata nel sangue. Sul caso indagano i carabinieri della compagnia di Giugliano, diretti dal capitano Gianluca Trombetti. I militari hanno a lungo ascoltato la guardia giurata, ma bisognerà attendere il risultato delle perizie balistiche per confermare l’attendibilità della deposizione. Sotto torchio anche i genitori e gli amici del venticinquenne che, dopo pochi minuti dalla rapina e prima ancora che il cadavere fosse identificato, sapevano già della morte di Agostino. Dal controllo minuzioso dell’auto utilizzata dai rapinatori, gli inquirenti sperano di trovare indizi che possano portare all’identificazione dei due complici. La vettura, infatti, risulta rubata ma la denuncia è stata formalizzata solo dopo la tragica rapina. Una decina di perquisizioni, intanto, sono state effettuate ieri tra i mega-agglomerati di Casacelle dai quali, si ritiene, possa essere partita la spedizione dei tre banditi culminata nella sparatoria. Oggi sarà invece eseguita l’autopsia sulla salma di Fammiano. Bisognerà aspettare domenica prima che Vincenzo Ranieri, il magistrato che coordina le indagini, autorizzi i funerali. Secondo il racconto reso dall’agente agli inquirenti, D’Abronzo tornava dal lavoro a bordo della sua Renault Clio quando è stato affiancato da una Fiat Cinquecento con tre uomini a bordo. Due dei rapinatori sarebbero scesi dall’auto impugnando le pistole. Uno dei banditi lo avrebbe tirato fuori dalla vettura e scaraventato in terra. D’Abronzo ha anche spiegato che «un rapinatore gli teneva la pistola puntata sul collo mentre gli ordinava di consegnare il portafogli». Ed è stato probabilmente proprio approfittando di quest’ordine, che gli consentiva di portare le mani alla schiena, che il vigilantes ha potuto estrarre la pistola d’ordinanza esplodendo alcuni colpi in aria. I due si sarebbero rifugiati dietro la Cinquecento e da lì avrebbero preso a sparare. Quattro, cinque colpi consecutivi. Durante le fasi della sparatoria, quello che era alla guida – Agostino Fammiano, appunto – avrebbe tentato di investirlo. «Ho avuto paura. Non volevo uccidere. Ho sparato di nuovo per evitare che mi ammazzasse», ha detto D’Abronzo. Agostino Fammiano, 25 anni, residente del quartiere Casacelle di Giugliano, pregiudicato per reati contro il patrimonio, è stato centrato da un solo colpo all’altezza dell’ascella destra. Il proiettile l’ha praticamente ucciso all’istante. I complici, invece, sarebbero fuggiti a piedi lungo le stradine che collegano via Santa Maria a Cubito alla Circumvallazione esterna.

PUBBLICITÀ





La madre: giustizia per mio figlio




Giugliano. «Giustizia, questo mi devono dare, giustizia. Quello deve pagare, non doveva uccidere mio figlio». Grida la sua rabbia e il suo dolore la madre di Agostino Fammiano. Suo figlio – «vita mia» grida la mamma – giovedì sera ha cercato di impossessarsi di una Renault Clio. Un colpo tentato con la persona sbagliata, una guardia giurata che ha reagito con la pistola. La donna alterna urla disperate ad esplosioni di rabbia, lanciando accuse nei confronti dell’agente che ha fatto fuoco. «Non doveva sparare – ripete – mio figlio era disarmato. Non doveva sparare». Casa Fammiano è in via del Leone, una di quelle strade che collega i palazzoni del quartiere Casacelle, alla periferia di Giugliano. Ci si arriva dalla Circumvallazione esterna. Buche, voragini, un curvone, mille pericoli. Diecimila anime che vivono in case-tuguri. Terra dimenticata, ignorata, scartata. Solo palazzine, sei o sette piani. Cemento, sterpaglie, abbandono. Agostino abitava al sesto piano di un edificio grigio con infissi blu, nella zona che qui tutti chiamano «dei cento alloggi». La signora Maria non accetta che suo figlio passi come uno dei tanti ragazzi di strada senza speranze. Stringe in mano la foto del ragazzo, un giovanotto coi capelli corti e lo sguardo attento che dimostra meno anni di quelli che aveva. «Agostino – grida con rabbia – era un bravo ragazzo. È vero, aveva qualche grillo per la testa. Ma non meritava di morire così». Papà Giuseppe non parla. Stringe la mano del figlio maggiore. E piange. Agostino era il terzo di quattro fratelli. In casa è riunita tutta la famiglia. Zii, nipoti, cugini, amici, semplici conoscenti. «Devono licenziarlo, quel vigilante», urla Massimo, il secondogenito mentre altri parenti tentano di calmarlo. «La guardia ha sparato per uccidere – aggiunge un altro fratello – Poteva esplodere alcuni colpi in aria, impaurirli. E invece ha preso la mira. Ha ucciso Agostino a sangue freddo». Francesco, un cugino della vittima, non ha dubbi: «È vero, ha sbagliato. Ma non meritava di morire. Aveva solo 25 anni, era un ragazzo». Il fratello del padre non riesce a trovare pace. «Vi trovate di fronte un giovane e che fate, gli sparate? No, non si fa così. Era disarmato. Stava scappando, perché gli ha sparato?». Alessandra, la fidanzata di Agostino, è introvabile. «Lasciatela perdere – dice mamma Maria – Da ieri non ha smesso di piangere». Della rapina, dei complici, delle pallottole esplose dai banditi nessuno vuole parlare. «Non sappiamo nulla – urlano i parenti – Andate via, lasciateci in pace». Casacelle, via Epitaffio, un nome che è un presagio. «Quel ragazzo se l’è cercata», ti dicono quattro cinque persone disposte a parlare.



UF IL MATTINO 29 GENNAIO 2005
PUBBLICITÀ
Exit mobile version