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giovedì, Giugno 27, 2024
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GLI AMICI E I PARENTI DI QUALIANO E GIUGLIANO: “UN AMICO STRAORDINARIO, AMAVA LA PESCA”

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GIUGLIANO – Un padre straordinario, un marito esemplare, un amico unico. Lo ricordano così gli amici e i parenti napoletani Gennaro Paragliola, il vigilante 49enne ucciso l’altra mattina davanti alla banca che stava sorvegliando (la Antonveneta), all’interno del mercato del pesce di Milano, in via Lombroso. Un colpo alla nuca. Uno solo, secco e preciso, esploso con freddezza, sparato forse con la sua stessa pistola, che i banditi poi si sono portati via. E a ucciderlo per un bottino da nulla — 5mila euro— sono stati tre malviventi, attesi in strada da un altro complice a bordo di un’Audi station wagon successivamente bruciata.
Sgomento, paura, incredulità. Una miscela di sentimenti sconnessi. “Era un amico unico. Sempre prodigo e disponibile per ogni cosa”. Poche parole, appena sussurrate, di un compagno distrutto dal dolore. Mentre parla ha gli occhi persi nel vuoto, alza lo sguardo al cielo accompagnando il ricordo dell’amico di infanzia con le espressioni del volto, ora mesto, ora raccolto, ora aperto all’accenno di un sorriso triste quando ripensa a quell’ ultima immagine di una quotidianità che non tornerà mai più. Gennaro Paragliola era originario di Castel Belvedere, una frazione divisa tra Marano e Giugliano. Da giovane, lasciando la sua casa natia, era emigrato a Lecco e aveva tentato la fortuna aprendo una cremeria. Ma gli era andata male. A Legnano (due passi da Milano) si era trasferito undici anni fa: lavorava per la Mondialpol come guardia giurata.
L’angoscia, il dolore che ha tenuto vicini i parenti e gli amici dal momento che hanno sentito delle sua morte, si sono presto trasformati nel bisogno di non cadere nella rassegnazione o nella rabbia senza speranza. Chiedono giustizia, ma prima ancora chiedono verità.
Gennaro – raccontano gli amici di Qualiano – era un “uomo straordinario”: assommava in sé, tra gli altri, i requisiti di marito premuroso, padre esemplare, amico impareggiabile. “Era in grado –dicono – di comunicare a tutti, anche a chi lo avesse conosciuto soltanto cinque minuti prima, una carica umana irresistibile di simpatia, serenità e di generosa bontà”.
A Legnano viveva con la moglie, Filomena Bova, 46 anni, casalinga, e due dei tre figli: Vincenzo, 23 anni, metalmeccanico, e Nunzia di 8 anni. La maggiore Pina, 25 anni, è sposata da un anno e incinta di pochi mesi. A Napoli lascia la madre, due fratelli e tre sorelle. Una famiglia ora che è prostrata da un dolore palpabile. Hanno poca voglia di parlare. Qualcuno scende in strada, riesce a dire qualche parola, rientra in casa con lo sguardo lucido per stare a fianco dei familiari e sentire il conforto delle persone che arrivano in un mesto e doloroso pellegrinaggio. I funerali si celebreranno la settimana prossima.
Amava la pesca, Gennaro: per lui era una vera passione . Tifosissimo del Napoli, almeno quanto il figlio secondogenito. Orgoglioso delle sue origini rurali. La sua era una vita scandita dai ritmi di un uomo che adorava la sua famiglia: se non era al lavoro era a casa. Lavorava tanto per non far mancare mai niente ai suoi cari. “La morte di Gennaro, così assurda e sconvolgente – ricordano gli amici napoletani più intimi – non può restare un tragico punto di arrivo. La sua gioia di stare con gli altri, la sua straordinaria semplicità non possono essersene andate con lui quel venerdì mattina”. Poi un’ ambascia cupa, un’oscura costernazione, per un istante l’impressione di vuoto. “La sua dinamicità, il suo entusiasmo, la sua paterna severità, la sua umiltà ne facevano una persona unica. Resterà per sempre dentro di noi”.

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