venerdì, Luglio 18, 2025
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Marano. Tentato delitto d’«onore», rinviato a giudizio il boss Giuseppe Polverino

Un delitto d’onore si sarebbe detto una volta, in un passato di diversa morale. Predisposero la permanenza stabile di un gruppo di fuoco in un punto strategico, eseguirono sopralluoghi in più circostanze per individuare il bersaglio, impiegarono uomini e mezzi in dotazione al clan di camorra più potente della periferia a nord di Napoli, i Polverino, e interpellarono persino il boss in persona, all’epoca latitante in Spagna, per avere il consenso ad agire: bisognava punire l’uomo accusato di avere una relazione sentimentale con la nuora di uno dei camorristi appartenenti al clan e si scelse di farlo con l’unico modo che la camorra conosce. Era il 19 dicembre 2008, accadde a Quarto: la vittima, un uomo di origine serbe, fu centrata alle gambe da un colpo di pistola. Riportò una frattura da scoppio all’arto destro e una lesione al femore sinistro causata dal proiettile.



Ieri per il suo ferimento il boss Giuseppe Polverino e tre suoi fedelissimi sono stati rinviati a giudizio, i tre collaboratori di giustizia invece saranno processati separatamente mentre per due imputati che hanno optato per il rito abbreviato c’è stata sentenza di condanna: cinque anni e quattro mesi di reclusione per Salvatore Simioli (difeso dall’avvocato Stefano Sorrentino) indicato tra gli esecutori materiali e accusato anche del reato di armi, e quattro anni di reclusione per Sabatino Cerullo (difeso dagli avvocati Antonio Briganti e Rosario Marsico) accusato di essere uno degli organizzatori e basisti del raid. Il verdetto è stato firmato dal giudice Gaudino e tra 45 giorni saranno depositate le motivazioni. Possibile il ricorso in appello degli imputati condannati. L’episodio è stato qualificato nel reato di lesioni gravi con l’aggravante della premeditazione e della modalità camorristica.




Accusa per la quale saranno processati con rito ordinario il boss Polverino e i suoi fedelissimi che dovranno comparire davanti ai giudici del collegio A della undicesima sezione penale a partire dall’8 marzo prossimo. L’inchiesta, coordinata dal pubblico ministero Henry John Woodcock, del pool Anticamorra coordinato dai procuratori aggiunti Filippo Beatrice e Giuseppe Borrelli, ha ricostruito movente e retroscena del ferimento. Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sono valse a rafforzare il quadro tratteggiato dalle indagini. Si sono individuati ruoli e responsabilità, accertando che il cittadino serbo finì nel mirino della camorra per una questione personale, per aver scelto la donna “sbagliata”, nuora di un camorrista.



All’epoca il boss Giuseppe Polverino era latitante in Spagna e sarebbe stato contattato dai suoi uomini per dare il consenso a procedere alla punizione. L’agguato sarebbe stato organizzato nei dettagli, con sopralluoghi per indicare agli esecutori la persona da colpire e addirittura con una postazione fissa per il gruppo di fuoco sì da essere pronti ad agire all’occorrenza. Un’azione, dunque, pensata in perfetto stile di camorra, secondo l’accusa che ha chiesto e ottenuto il processo per gli uomini del clan Polverino: per il boss Giuseppe, ritenuto al vertice di una delle più potenti e ricche organizzazioni criminali napoletane, influente tra Marano, Villaricca, Quarto, Qualiano, Pozzuoli e nel quartiere Camaldoli di Napoli, catturato da latitante in Spagna, a Jerez de la Frontera, e accusato di essere il mandante del ferimento assieme a Gennaro De Razza, per Giuseppe Simioli, latitante e braccio destro del capoclan, indicato tra gli organizzatori e basisti del raid assieme a Salvatore Liccardi. Tre i collaboratori di giustizia: Biagio Di Lanno, Roberto Perrone e Gaetano D’Ausilio.



fonte: Viviana Lanza, il Mattino.it