Ecco la storia di Carolina Cortiello, 28 anni, residente nella periferia nord di Napoli, che da mesi combatte in maniera insolita e speciale un particolare tipo di tumore.
Bella, solare, sorridente e partenopea: Carolina, giovane praticante avvocato, a dicembre ha dovuto scontrarsi con il linfoma di Hodgkin, una malattia che ha portato scompiglio nella sua quotidianità.
Dapprima lo sconforto, la paura di affrontare quello che si è rivelato un vero e proprio calvario, il dramma di chi improvvisamente è costretto ad inabissarsi nel buio della malattia e a trascorrere tra ospedali e casa gran parte del proprio tempo. Poi la sfida, la rabbia, la voglia di reagire e di combattere l’inaspettata battaglia con la forza e il sorriso che la contraddistinguono.
Attraverso la pagina Facebook It’s a beautiful day to save my life la piccola grande guerriera affronta e racconta sul social il percorso intrapreso, facendo della scrittura una meravigliosa ed alternativa terapia.
Un vero e proprio diario di bordo di una ragazza campana che descrive sogni, speranze, aspettative, difficoltà, e lascia trapelare dalle sue parole l’importanza del tempo, dei legami e della vita stessa. Il suo modo di scrivere, il coraggio, l’allegria di chi ha dovuto dare una svolta alla vita senza abbattersi, hanno catturato l’attenzione di centinaia e centinaia di persone che vedono in Carolina una vera e propria forza della natura. Nonostante fosse stata sottoposta all’ennesimo intervento, senza esitazione, con qualche ferita e profonda gioia nel cuore, ha rilasciato l’intervista per noi.
Cominciamo parlando un po’ di te, della tua vita e del modo in cui è cambiata la tua vita
Carolina Cortiello, 28 anni, abito nella periferia nord di Napoli, nello specifico, vivo nel quartiere Miano e sono praticante avvocato presso uno studio legale che si occupa di contenzioso civile. Ufficialmente la malattia mi è stata diagnosticata verso la fine di dicembre, la biopsia ha rivelato che si trattava di Linfoma di Hodgkin, il quale è un tumore maligno del sangue che colpisce il sistema linfatico. Sono al secondo stadio, il che significa che il tumore si è esteso ai linfonodi fino al diaframma. Fortunatamente dai recenti esami, sia gli organi che il midollo osseo sono risultati puliti.
Qual è stata la prima reazione nel momento in cui ti hanno diagnosticato il male del secolo?
E’ davvero difficile spiegarlo, ma ho realizzato di avere un tumore maligno ben prima della biopsia. A metà novembre mi recai da un endocrinologo perchè avevo diversi linfonodi al collo e sulla clavicola molto gonfi. Dalla frase del medico: “Lei deve correre” capii subito che si trattava di un tumore. La prima reazione fu di totale estraneità, mi sentivo come se stessi guardando la realtà dall’esterno, come se la cosa non riguardasse me. Io malata di tumore? Impossibile. Non provavo nulla. Poi, dopo alcune ore, crollai in un pianto disperato, mi sentii seppellita da un qualcosa che mi sembrava così ingiusto, una cosa priva di senso. Passai la notte in bianco, mi sembrava un incubo che stavo vivendo ad occhi aperti.
Come nasce l’idea di affrontare il percorso della malattia attraverso un diario su un social network e quanto ti aiuta la scrittura in questo momento così delicato della tua vita.
La scrittura è sempre stato il modo per esprimere le mie emozioni, per tradurre il mio mondo interiore. Dal liceo ho iniziato a scrivere poesie, pensieri. In tutti i miei momenti più difficili la scrittura ha fatto in modo che io non “implodessi”. Lo definirei un bisogno innato, un qualcosa che mi ha fatto sempre stare bene. Io giro sempre con un moleskin nella borsa, quando vado a lavoro oppure mentre mi reco a fare una passeggiata. Quante volte ho osservato situazioni, persone in metro e ho immaginato storie, emozioni. Quando ho preso la decisione di non arrendermi alla malattia, di affrontarla e combattere con determinazione, mi sono chiesta che arma io avessi potuto usare, oltre ovviamente alle medicine prescritte dai medici.
Ebbene, ho usato l’arma più potente che avesse a disposizione la mia anima: la scrittura.
Secondo la tua esperienza e la personale conoscenza, credi possa sussistere un nesso tra il tumore e le popolazioni che vivono nella fatidica ‘Terra dei Fuochi’?
Io non posseggo conoscenze mediche per dare una risposta certa a tale domanda, questo dovrebbe farlo la comunità scientifica e auspico che possano arrivare sempre più dati certi a riguardo. Posso dire che il Linfoma di Hodgkin non è un tumore ereditario, che sebbene io non viva nel “triangolo della morte” come vengono definite certe zone, sulla mia tavola sono arrivati sicuramente prodotti avvelenati e inquinati da quei criminali camorristi.
Ci hanno avvelenato, questo è poco ma sicuro. E secondo la mia opinione, che può essere opinabile o meno, sì…direi che potrebbe essere un ulteriore fattore scatenante.
In molti ti considerano una forza della natura. Il dolore ha sicuramente cambiato la tua visione personale della vita. Attraverso il diario e la pagina facebook sei diventata punto di riferimento e sostegno morale per centinaia di persone. Cosa senti di dire a chi come te combatte questa dura battaglia e cosa invece diresti a chi spesso si affanna per i piccoli inconvenienti della vita.
Quando ho deciso di aprire la pagina facebook e raccontare la mia malattia, ho rinunciato all’intimità del dolore, della sofferenza, perché il mio obiettivo era quello di far capire alle persone non solo l’importanza della prevenzione ma soprattutto che del tumore non bisogna avere paura, altrimenti si parte già sconfitti. Bisogna già solo imparare a pronunciare la parola “tumore”, molto spesso elusa con altre locuzioni del tipo “quella brutta malattia”. Mi verrebbe da dire: “ma perché ci sono malattie belle?”.
Cosa ti sentiresti di dire a chi affronta la stessa contro il male?
Ai guerrieri che, come me, stanno affrontando questo mostro, dico di non arrendersi, di non mollare. Non è facile, soprattutto quando si iniziano le chemio/radio, la guerra è durissima, si va incontro ad una radicale trasformazione fisica, c’è dolore e sofferenza, ma non bisogna lasciarsi sconfiggere da tutto questo. Bisogna cercare di attingere dentro di sé quella forza primordiale che scaturisce quando si lotta per sopravvivere. Non si tratta di viverla con “positività”, questo poi è un aspetto caratteriale, un’inclinazione o comunque fa parte di un percorso interiore. La cosa fondamentale è la forza interiore, quella ce l’abbiamo tutti, bisogna solo scovarla. Se non ce la fate da soli, fatevi aiutare da psicoterapeuti specializzati in queste dinamiche. Voglio citare le parole dette recentemente dal Prof. Mandelli “Per la guarigione il 50% del lavoro possono farlo le medicine ma l’altro il 50%, il più importante, deve farlo lo spirito. ”
Ed invece a coloro che conducono una vita “normale”?
Alle persone, invece, che vivono una quotidianità direi “normale” rispetto a quella che sto vivendo io attualmente, di certo non posso dire: “non date peso a questi problemi”, perché tutto, paragonato a un tumore maligno, diventa piccolo. La quotidianità, i “piccoli affanni” della vita, sono anch’essi importanti. Fondamentale però, dal mio punto di vista se vogliamo “rinnovato” da questa malattia (almeno questo tumore qualcosa di positivo lo ha portato nella mia vita), è il “non perdere tempo”. Affrontare i problemi, piccoli o grandi che siano, lavorare, studiare, impegni di tutti i tipi sì lo capisco, ma non bisogna lasciarsi trascinare da essi.
Bisogna trovare sempre il tempo per le persone che amiamo, trovare tempo per se stessi. Il tempo è l’unica cosa che non si può comprare, né è un bene che ci può essere restituito. Usatelo con saggezza.