Home Attualità e Società L’insostenibile leggerezza di una emergenza

L’insostenibile leggerezza di una emergenza

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NAPOLI. Dal quadro alla parete del suo studio, e da come veste, si capisce subito che una delle sue antiche passioni è la bicicletta. E infatti, se non si fosse arrotondato con decenni di lavoro sedentario, cioè di scrivania, forse conserverebbe intatta la struttura fisica di un velocista alla Maspes o Gaiardoni, due vecchie glorie dello sprint.
Sotto un vestito scuro, stamani Corrado Catenacci indossa un maglione nero a collo alto con cerniera. L’unica nota di rilievo nella sua tenuta gli fuoriesce dall’asola del bavero: il distintivo di cavaliere di Gran Croce dell’ordine al merito della Repubblica, la più alta onorificenza italiana.
Ci eravamo visti l’ultima volta la sera del 23 novembre 1980, una sera che non si dimentica mai. Catenacci allora era capo di gabinetto del prefetto di Napoli. Con la foga del giovane cronista d’assalto, piombai nella stanza di Catenacci a caccia di notizie. Da pochi minuti la terra aveva tremato provocando uno sconquasso con morti e distruzioni. In quella drammatica circostanza chiesi con grande ingenuità se la prefettura disponesse di un piano di emergenza. Macché. Non c’era niente. Tranne lo slancio generoso di Catenacci che, assente il prefetto, era corso con l’affanno da casa sua a piazza Plebiscito per rendersi conto della catastrofe.
Acqua passata, quel terremoto. Che però riannoda i fili di vicende umane e fa riaffiorare qualche robusta traccia di nostalgia. Oggi Catenacci ha 69 anni, ha svolto un’onorata carriera prefettizia in giro per l’Italia e, quando meno se l’aspettava, eccolo commissario governativo per l’emergenza rifiuti in Campania, un incarico rischioso che lo costringe a muoversi con la scorta.
Il suo ufficio, da cui si dirama una struttura composta da 85 persone, è al quarto piano di un bel palazzo di via Filangieri. Ma come ci è arrivato, lui che era stato congedato il primo di dicembre del 2003? Perché, dopo soli 120 giorni di pensionamento, è stato ripescato e messo in prima linea?
“Il 27 marzo dello scorso anno – rivela con pacatezza – ricevetti un’inattesa telefonata del capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, mio caro amico e angelo custode. Fu lui ad annunciarmi che ero stato prescelto per prendere il posto di Bassolino in questo delicato incarico”.
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I giornali dicono tutti la stessa cosa, che si soffre a vedere cassonetti pieni e strade invase dall’immondizia. “Faremo le barricate”, protestano i sindaci contrari alle discariche. Ove per barricate si sottintende anche l’occupazione di autostrade e ferrovie. Ai sindaci più bellicosi si aggiungono i proclami e gli appelli di operatori turistici, politici locali e semplici cittadini. “Siamo all’inizio della stagione turistica, dobbiamo presentare ai forestieri una città pulita”, dicono gli albergatori. Come dar loro torto? Certe immagini di Napoli e di altri centri della Campania, amplificate da giornali e televisioni, hanno fatto il giro del mondo: contenitori stracolmi di rifiuti, accanto a chiese e monumenti millenari, non sono un gran biglietto da visita. Lo scorso anno l’emergenza scoppiò proprio a maggio, e fu terribile. Ora la priorità di Catenacci è una sola: evitare ad ogni costo una nuova crisi dei rifiuti. Ma come nasce questa emergenza che non finisce mai?
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Sbaglierò, ma Corrado Catenacci non è il tipo che, sotto le belle maniere, nasconde pratiche consolatorie. Non lo è per ragioni anagrafiche, per il modo di parlare e di pensare, non lo è per il rigore, per il senso appassionato, acuminato e spassionato del dovere. “L’emergenza rifiuti – risponde – in Campania è un dato di fatto di una difficile situazione che si protrae da undici anni. Io, personalmente, rispondo degli ultimi 13 mesi”. Eggià, al pari di Ponzio Pilato, i politici se ne sono lavate le mani e gli hanno passato il cerino acceso: “Bruciatele tu, le dita”. E si sono messi alla finestra a sproloquiare in attesa di un accadimento che non accade. Ma perché non accade?, gli domando. Catenacci puntella i gomiti sul tavolo e risponde: “Mi creda, quando sono arrivato qui ho trovato una situazione disastrosa: ci siamo dovuti occupare di problemi che erano molto più grandi di quelli affrontati dai miei vari predecessori: i presidenti Rastrelli, Losco e Bassolino. In ogni modo non è solo la Campania a fronteggiare l’emergenza rifiuti, bensì altre quattro regioni: Lazio, Puglia, Calabria e Sicilia”.
Però è innegabile che, da noi, il tormentone spazzatura è sempre all’ordine del giorno. C’è una ragione?
“Sì, in Campania stiamo peggio delle altre regioni perché avremmo voluto stare meglio. No, non è un paradosso. Infatti il programma che i miei predecessori hanno elaborato è modernissimo: prevede sette impianti di cdr a Tufino, Giugliano, Caivano, Santa Maria Capua Vetere, Battipaglia, Casalduno e Piano d’Ardine. Più due termovalorizzatori ad Acerra e a Santa Maria la Fossa (Ce). Con la costruzione di questi impianti tutti i rifiuti vengono lavorati e trasformati in combustibile e fos (frazione organica stabilizzata), cioè in materiali che dovrebbero servire al ripristino ambientale. Ma, a seguito di un’inchiesta della magistratura napoletana, si è accertato che questi prodotti non corrispondono ai parametri previsti dal decreto Ronchi. Di qui i numerosi sequestri e dissequestri degli impianti. E’ evidente che operare nel contesto di un’indagine giudiziaria in corso ha rallentato la nostra attività. Perché io stesso sono stato sottoposto a diversi interrogatori, mentre la magistratura ordinava l’acquisizione di atti e faceva indagini sui miei diretti collaboratori…”.
Possibile che il prefetto-commissario sia rimasto completamente solo nel suo sforzo di trovare una soluzione al problema? Insomma, chi sono i suoi amici e i suoi nemici?
Lui pesa le parole e tutto d’un fiato sbotta: “Finora mi hanno appoggiato il sottosegretario Gianni Letta, il ministro Matteoli, Bertolaso e Bassolino. Invece tanti altri ce l’hanno con me. I motivi? Non ci vuole molto per capirli. Quando andiamo ad aprire una discarica succede la fine del mondo. E i politici si rivelano tutti uguali, da destra a sinistra. Occorrono le discariche di servizio, ma su questo punto si scontrano tutti, a cominciare dai sindaci di Giugliano, Parapoti, Acerra, Villa Literno, Campagna, Benevento, Montesarchio…”.
Se così stanno le cose, chi glielo fa fare, perché Catenacci non si gode in pantofole il meritato riposo insieme con la moglie Vicentina e la figlia Anna? Questa domanda, nella sua spudorata semplicità, mette il dito nello spessore umano del commissario e nelle sue scelte di vita.
“Essere richiamato, — risponde – vedersi investito di una grande responsabilità, ma anche di grande prestigio, be’, per me è un motivo di orgoglio e soddisfazione”.
Non cambia mai, Catenacci. Tenace custode di una tradizione di famiglia – suo padre Elvio fu vicecapo della Polizia fino al 1972 – si porta cucito addosso un senso del dovere come fosse un vestito su misura. Ma con lo Stato che ha servito così a lungo, lui si sente in credito o in debito? “Credo di aver ricevuto molto di ciò che volevo, però ho anche qualche rimpianto. Io sono stato prefetto in sede per 18 anni e ho retto sei prefetture consecutivamente. Di 140 consigli comuni sciolti per condizionamento mafioso ben 25 li ho sciolti io. Il più importante: Lametia Terme, comune retto da un sindaco di Forza Italia quando il ministro dell’Interno era dello stesso partito. Però ho dovuto subire sei procedimenti penali…”.
L’amarezza del prefetto lo riporta agli anni quando fu oggetto di violenti attacchi da parte di alcuni giornali e di ambienti che miravano a delegittimarne l’azione. Fioccarono molte accuse, che alla fine si rivelarono bolle di sapone. Tra i sostenitori di Catenacci fu Nichi Vendola, oggi presidente della Puglia. E ciò, malgrado il prefetto avesse sciolto il consiglio di Terlizzi, cioè del paese di Vendola.
E allora qual è il motivo del rimpianto?
“Mi sarebbe piaciuto fare il prefetto a Napoli”, confessa a fine incontro Catenacci, abbozzando un sorriso e ricordando che negli anni ha sempre conservato rapporti di amicizia con il collega Profili. “Quando ero in servizio a Bari, – conclude — Giuseppe Tatarella mi offrì di passare a Napoli. Ma per una serie di vicissitudini rimasi dov’ero e poi andai a Cagliari”.
Capito perché non è diventato prefetto di Napoli? Perché anche le bolle di sapone, prima di dissolversi scoppiando, lasciano nella carriera di un servitore dello stato un’invisibile traccia.

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i numeri

• 7.500 tonnellate i rifiuti in Campania in un giorno
• 2,6 milioni di tonnellate i rifiuti campani prodotti in un anno (10% circa dei rifiuti italiani)
• 2.500 tonnellate vengono trasferite ogni giorno in Germania in treno
• 130/160 euro a tonnellata il costo dello smaltimento in Germania, il doppio di quello per il trattamento in loco (smaltimento con ecoballe)
fonte: Telefono blu



Goffredo Locatelli IL DENARO 1-05-2005

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