Home Cronaca «Droga in arrivo». Il tam-tam con i fuochi

«Droga in arrivo». Il tam-tam con i fuochi

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Con i botti gli spacciatori segnalano gli spostamenti delle partite di eroina e cocaina da un quartiere all’altro




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di MARISA LA PENNA MARCO DI CATERINO




Accade da qualche settimana quando cala la sera. Una esplosione improvvisa di fuochi pirotecnici. Colorati, fragorosi. Un paio di minuti di festa inaspettata a cui gli abitanti di Casavatore e i napoletani di alcuni rioni della città – soprattutto quelli interessati dalla feroce faida scissionisti-clan Di Lauro – non fanno ormai più caso. Da Scampia a Secondigliano, dai Quartieri Spagnoli alla Sanità, da San Pietro a Patierno all’Arenaccia. Le piazze dello spaccio sono ogni sera illuminate dai fuochi di San Silvestro. Che significato hanno, dunque, quei botti festosi? La risposta è nota essenzialmente in certi ambienti malavitosi. Ma da qualche tempo ci ”lavorano” anche gli investigatori. Per esempio i carabinieri della compagnia di Casavatore e quelli della compagnia Stella, competente, quest’ultima, su alcuni territori caldi della vendita fuorilegge di sostanze stupefacenti. Una parte di Secondigliano. E, ancora, della Sanità. Le micce delle batterie pirotecniche vengono innescate dalla paranza di spacciatori che per prima, in un quartiere, ha ultimato la partita di droga. Un messaggio per i fornitori e, contestualmente, un segnale di giubilo. Innanzitutto un cenno perchè il grossista di stupefacenti porti, a chi ha finito la roba, un nuovo stock di cocaina, o eroina, o hascisc. E poi il festeggiamento per aver terminato la vendita e, pertanto, di aver guadagnato in tempi brevi grosse somme di denaro. All’inizio, i residenti dei territori interessati dal nuovo tamtam, si precipitavano alla finestra si godevano lo spettacolo fuori programma, poi facevano mente locale alla festività, guardavano il calendario e scoprivano che il santo del giorno era uno ”sconosciuto” ovvero non era tra quelli che solitamente vengono festeggiati a suon di petardi. E allora attribuivano l’evento all’estrosità di qualche abitante del luogo che voleva festeggiare, per esempio, un compleanno, una nascita, il primo dentino del nipote del boss. E con questa convinzione i residenti non andavano oltre nell’”indagine”. Poi, col passare dei giorni, delle settimane, il reale messaggio lanciato dagli uomini dello spaccio è stato intercettato dai militari che stanno ora tentando di risalire agli autori dei fuochi. La moda di comunicare con i botti di San Silvestro sarebbe nata proprio con l’acuirsi della faida di Secondigliano. In partitolare, sempre a Casavatore, è stato festeggiato l’arresto di Paolo Di Lauro con oltre mezz’ora di fuochi pirotecnici che sono stati avvistati anche da molte aree cittadine. La cattura di Ciruzzo ’o milionario è stata festeggiata anche in città, in alcuni rioni di Secondigliano e Scampia. Ma ritorniamo ai trafficanti di eroina. Secondo i carabinieri di Casavatore i ”segnali di fumo” trasformati in eventi pirotecnici dagli spacciatori, riuscirebbero a stabilire contatti di affari tra i malavitosi del Comune a Nord della città e Secondigliano-Scampia. Per i militari sarebbero state comunicate una serie di informazioni circa l’arrivo di grosse partite di cocaina e eroina tra Casavatore e Secondogliano-Scampia proprio col sistema dei fuochi pirotecnici.







Cento «piazze» per un affare da 500mila euro al giorno



Il giro d’affari del gruppo di trafficanti che lavorano con le organizzazioni criminali di Secondigliano viene stimato in mezzo milione di euro al giorno. Ogni «rivendita» di droga, sostengono gli investigatori, può fruttare circa venticinquemila euro al mese. Le piazze dello spaccio sono almeno cento. Napoli smista cocaina e eroina anche al Nord e al Sud. I clan, e in particolare quelli che dipendono da Ciruzzo ’o milionario, controllano lo spaccio attraverso gruppi familiari che lavorano a tempo pieno in turni strutturati lungo le 24 ore. Anche le donne, gli anziani, i disabili e i bambini possono avere un ruolo definito e ben retribuito all’interno di un business che produce ricchezza a ritmi ossessivi. La più piccola piazza di spaccio si avvale di almeno tre o quattro «addetti», ma alcune delle piazze di maggiore smercio occupano anche quindici o venti persone per turno. Agli spacciatori, infatti, bisogna aggiungere un custode (incensurato) della merce e un «tagliatore» esperto, ma servono anche uomini di guardia e gregari pronti a intervenire in armi in caso di necessità. Due venditori incassano il denaro e consegnano le bustine, le sentinelle fanno da «palo» nei pressi della piazza, magari montando su un tetto o su un balcone per segnalare l’arrivo o il passaggio di una pattuglia delle forze dell’ordine. L’allarme viene dato chiamando il nome di una persona, spesso si sente gridare Maria. Una vedetta guadagna da 50 a 200 euro al giorno. Il collaboratore di giustizia Domenico Rocco, un ragazzo poco più che ventenne, ha riferito al magistrato che lo interrogava, di aver pagato partite di cocaina portando in contanti somme come centomila, sessantasettemila o trentamila euro per volta. I pentiti che hanno iniziato a collaborare con la giustizia dopo l’esplosione della faida hanno accreditato l’immagine del clan capeggiato da Paolo Di Lauro come di un’organizzazione capace di incassare cifre rilevantissime con il traffico di droga. Ma Ciruzzo ’o milionario ha sempre respinto le accuse. E quando, nel novembre del 1998, fu sentito in procura come teste, disse: «Ho sempre lavorato nel settore dell’abbigliamento in pelle e della biancheria. Inizialmente avevo una fabbrica che dava lavoro a un centinaio di persone e però, a causa della pressione investigativa, ho dovuto chiuderla». L’inchiesta sulle ramificazioni imprenditoriali della malavita di Secondigliano, con particolare riferimento ai traffici milionari di droga, è condotta dal pm della Direzione Distrettuale Antimafia, Filippo Beatrice.








Ucciso per uno sgarro si stringe il cerchio


Lo hanno massacrato per lanciare un segnale forte alla gente di Secondigliano. Un messaggio valido per tutti, oggi più che mai visto che qualcuno ha tradito, fornendo la soffiata giusta sul rifugio in cui si nascondeva Paolo Di Lauro. Inequivocabile il tono imperativo dal sapore squisitamente camorristico: chi apre la bocca muore. E dire che Edoardo la Monica, che pure negli ultimi tempi veniva visto come uno che parlava troppo, nulla c’entrava con la cattura del boss. La suggestiva ipotesi emersa nelle ore successive al ritrovamento del suo cadavere nei pressi della Rotonda di Arzano, che prendeva in considerazione seria la possibilità che la vittima avesse avuto un ruolo nel fornire elementi importanti agli investigatori sul covo di «Ciruzzo», è ormai definitivamente tramontata. Eppure il contesto cui si arriva per inquadrare la causale del brutale omicidio di giovedì sera a Secondigliano è in qualche modo collegata al clima di omertà che la criminalità organizzata sta cercando di imporre nei quartieri della periferia settentrionale di Napoli. Una volta si sarebbe detto: colpirne uno per educarne cento. È mutuando proprio lo slogan degli anni di piombo che la camorra – e in questo caso specifico il clan Di lauro – avrebbe deciso di lanciare un messaggio forte e agghiacciante. Mancava solo l’obiettivo. Edoardo la Monica era un facile obiettivo. Forti indebitamenti ai quali non riusciva a far fronte con gli introiti dell’autorimessa, fedina penale immacolata, ma soprattutto un carattere considerato troppo «loquace» per i codici di comportamento di una cosca che gradisce il silenzio di chi finge di non vedere e, in ogni caso, sa sempre tacere. Uno di questi motivi, oppure il loro intrecciarsi è stato dunque la causa della feroce esecuzione di Eduardo La Monica. A salvarlo non è bastata nemmeno quella lontana parentela con la famiglia di Paolo Di Lauro. Il cerchio si sta chiudendo. Manca solo la cattura dei responsabili. In carcere, per ora, resta solo il polacco Daniel Pacewicz, immigrato clandestinamente un paio di mesi fa. Lavorava nell’autorimessa di La Monica. L’uomo era proprio nel garage quando i sicari hanno fatto irruzione dirigendosi nella stanza dove si trovava il titolare. Il polacco si dichiara innocente affermando che gli assassini, dopo averlo pestato, gli avrebbero imposto di pulire il locale dal sangue e portare via il cadavere. E avrebbe aggiunto, in ogni caso, di non conoscere gli assassini né di essere in grado di identificarli. I suoi legali, gli avvocati Raffaella D’Angerio e Antonio Nappi, denunciano che le notizie di stampa, secondo le quali l’immigrato avrebbe riconosciuto gli assassini, oltre a essere imprecise determinano «gravissimi rischi per l’incolumità» del polacco che «rischia di pagare un prezzo altissimo». Gli avvocati ribadiscono inoltre «che Pacewitz è innocente» sottolineando che la difesa dimostrerà la sua estraneità al delitto. L’uomo è al momento sottoposto a fermo con l’accusa di omicidio in attesa dell’udienza di convalida che si terràstamattina in carcere davanti al gip.

giu.cri.




IL MTTINO 25 SETTEMBRE 2005
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