Home Cronaca FRATTAMINORE: Terrore in piazza, disabile uccide un vigile

FRATTAMINORE: Terrore in piazza, disabile uccide un vigile

PUBBLICITÀ


Frattaminore. Un colpo alle spalle, alla nuca. Poi quando la vittima è stramazzata a terra, l’assassino si è chinato per accertarsi se respirava ancora. E allora ha esploso altri due colpi centrandolo al petto. Ha sparato facendo leva su tutte le sue forze: lui, anziano (73 anni) invalido civile per l’amputazione del braccio destro e di quella di tre dita della mano sinistra causate dall’investimento del tram quando era piccolo. Maurizio Caso, 56 anni, maresciallo dei vigili di Frattaminore, è morto ucciso in piazza san Maurizio a Frattaminore, guardando negli ultimi istanti della sua vita il volto del suo assassino: Francesco Pellegrino, 73 anni, pensionato. Solo quando ha avuto la certezza di aver finito il sottufficiale, l’omicida si è diretto verso la bicicletta con la quale era arrivato alle 9.15. Quei colpi di pistola hanno richiamato l’attenzione degli agenti del commissariato di Frattamaggiore, diretto dal vice questore Pietropaolo Auriemma, che si trovavano a poche decine di metri dal luogo del delitto per un’altra indagine. Francesco Pellegrino è stato disarmato e condotto in commissariato. Ai poliziotti che lo portavano via, ha mormorato: «Ora mi sento meglio. Quello doveva morire perché ha incendiato l’officina di mio figlio. E poi mi aveva incontrato e mi aveva preso in giro ironizzando sull’incendio…». Ha poi spiegato la vendetta, covata per mesi: «Il tre luglio mio figlio, la moglie e i bambini hanno rischiato di morire soffocati per colpa di quell’incendio. Due giorni dopo ho incontrato il signor Caso, battendomi la mano sulla spalla mi ha detto: «Don Ciccio, vi è piaciuta la politica? E allora la politica vi ha incendiato… Era un riferimento al rogo nel quale lui era coinvolto». Maurizio Caso è stato soccorso da alcuni passanti e dal fratello Aldo, assessore alla polizia urbana e ai lavori pubblici nella giunta di centrosinistra retta da Teresa Barbato, eletta dopo che il 27 gennaio vennero arrestati sindaco e giunta per associazione per delinquere finalizzata all’estorsione. Anche Pellegrino ha un figlio che fa politica: Antonio, responsabile delle Politiche Sociali di Frattaminore. Il pensionato aveva deciso di uccidere Maurizio Caso perché lo riteneva in qualche modo responsabile del raid incendiario che il tre luglio scorso, ridusse in cenere l’officina di vendita e riparazione degli pneumatici del figlio Vincenzo.



MARCO DI CATERINO

PUBBLICITÀ







«Volevo farlo fuori il giorno prima, ma c’era il temporale»




di ENZO CIACCIO



Frattaminore. «Volevo ammazzarlo già ieri mattina, però pioveva e… io sono anziano, non volevo mica rischiare il raffreddore». Gli occhi azzurri, i capelli brizzolati, gli occhiali da miope molto spessi, la giacca blu sopra la camicia a righine e i jeans, lo sguardo orfano di umana inquietudine: dietro le grate che lo circondano don Ciccio Pellegrino, 73 anni, offre una barba ben rasata e addosso emana ancora l’odore intenso dell’after shave. Forse sa che adesso lo aspetta un pò di galera e poi, data l’età, alla peggio gli arresti in casa. E qualche briciola di sacrifici. Pentito? Macchè. «Il padreterno – sussurra – mi ha lasciato due dita e una falange proprio per poter ammazzare quello lì…». Due dita e una falange. E il braccio destro regalato a un tram che, quando lui aveva solo 15 anni, gli passò di sopra senza chiedergli scusa. Don Ciccio non pianse. E nemmeno adesso. Anzi, adesso sembra risollevato. Come se con quei colpi di pistola avesse finalmente evaso una pratica ingombrante. Come se quel sangue, tutto quel sangue a due passi dal crocefisso di piazza san Maurizio, fosse simbolo di giustizia è fatta, quasi un lavacro di purificazione. Per sè e per i suoi. Lui, custode allo stabilimento per una vita. E ora giudice, che si fa boia. Frattaminore, 12mila anime: se la guardi di faccia, sembra un paese normale. Ci sono i bar, c’è la solenne chiesa madre, ci sono gli anziani che parlottano immobili sui marciapiede. Se la guardi di sguincio, però, ti sbatte in faccia atmosfere irreali. E ti accorgi che qui, tra la piazza e i bar e i vecchietti in bicicletta, ancora soffiano opachi i venti della cospirazione. Dei troppi silenzi. E delle poche verità. Il fratello della vittima si chiama Aldo Caso e fa l’assessore alla polizia municipale nella nuova giunta che da quattro mesi è guidata dal sindaco Teresa Barbato: «Ho sentito gli spari – racconta senza lacrime a due passi dal cadavere insanguinato, che era senza documenti e con mille euro in tasca – ma quando sono accorso mio fratello era già morto. I motivi? Non so, non capisco, non me lo spiego. I due erano amici, si conoscevano da tanti anni. Io e la mia famiglia siamo clienti dei figli di don Ciccio, che gestiscono un negozio di gommista. Antonio, figlio di don Ciccio, è assessore con me nella giunta comunale: si occupa di politiche sociali. E un figlio del mio povero fratello siede in consiglio con noi». Troppi silenzi. E mezze verità. Raccontano che durante una delle più recenti sedute del consiglio comunale la vittima, da maresciallo dei vigili urbani, era stato colto insieme ad altri mentre polemizzava ad altissima voce con alcuni consiglieri. A voce altissima, tanto è vero che il presidente del consiglio se la prese a male e minacciò di tenere il resto della seduta a porte chiuse. Il Comune, di fronte alla tragedia, in un comunicato si dice sconvolto e chiede «il rispetto del dolore delle famiglie considerando che sia la vittima che l’autore hanno rapporti di parentela con amministratori comunali». Troppi silenzi. E frasi fuori luogo. Qui dove urgono invece scelte nette e picconate di coraggio. Questa in carica è una giunta nata dalle macerie di un drammatico scioglimento per camorra, in un paese reso «minore» nell’anima, e ridotto a una sorta di Monopoli truccato dove tutto, dalla metanizzazione alla rete idrica, dalle fogne alle villette targate coop, era – secondo i magistrati – governato «da un comitato di affari che incassava e spartiva mazzette tenendo a busta paga tecnici conniventi e camorristi di vario rango». Sindaco, assessori e mezzo consiglio comunale finirono agli arresti. Anche la vittima fu indagata, per poi uscire indenne dall’inchiesta. Fu una figuraccia istituzionale di gravissime dimensioni. E dalle intercettazioni bene traspare la filosofia che muoveva i malandrini del sottobanco: «Tu non puoi fare che uno allatta e tutti gli altri succhiano», protestava uno degli arrestati riferendosi alle strambe regole di equità cui le spartizioni dovevano senza sgarri ubbidire. Storia recente, si aspetta il processo. Solo uno degli arrestati, l’ex sindaco ed ex consigliere provinciale Ds Antonio Liguori, è ancora agli arresti domiciliari. Lui, secondo l’accusa, era la mente del cosiddetto «Cerchio», cioè il gruppo ristrettissimo che comandava le operazioni e che aveva a disposizione la «squadra», cioè l’esercito di stipendiati e conniventi di vario livello, compreso un autista col ruolo di factotum. Il frutto delle mazzette veniva redistribuito al Gazebo, alias l’appartamento-villetta di Liguori ubicato nella «167», e stava custodito nel «carusiello», in una sorta di cassa-salvadanaio da cui poi si attingeva per foraggiare la tavola degli appetiti e mantenere in vita il macabro imbroglio. Per acquistare una delle villette costruite dalle coop, inzeppate di parenti e amici, bisognava versare 25 milioni di lire per la prima mazzetta, 50 per la seconda e altri 25 al rilascio della licenza. Attenzione, però: tutto ciò appartiene a storia passata. Cioè accadeva prima. Prima dello scioglimento per camorra. Prima della nuova giunta. Prima del nuovo consiglio. E di queste mezze verità. E di questo omicidio. E di tutto questo sangue, versato quasi ai piedi di un crocefisso.



IL MATTINO 7 OTTOBRE 2005
PUBBLICITÀ
Exit mobile version