INTERNAPOLI. Quando si parla di sinergie, sembra sempre di discutere di un concetto astratto, un fenomeno, niente di più. Invece capita che a volte questa parola si presenti in tutta la sua concretezza.
Da anni si teorizza di inibire l’angiogenesi (formazione di nuovi vasi) per colpire i tumori alla radice. Tuttavia, da altrettanti anni questo strumento apparentemente portentoso e senz’altro elegante si è dimostrato del tutto inutile per motivi di ordine tecnico. In pratica, come per tutti gli altri farmaci utilizzati per combattere i tumori, mancava di specificità nei confronti del proprio obiettivo. Questo lo rendeva inutilizzabile in quanto, andando ad interferire anche con i fenomeni angiogenetici fisiologici (quelli che avvengono normalmente anche nei soggetti sani) alterava i normali processi che permettono ad un organismo di mantenere il suo equilibrio vitale.
Poi è accaduto che qualcuno si è ricordato del valore concreto, e non solo potenziale, delle sinergie. E così la scienza e la tecnica hanno il massimo di sé. Perché non sfruttare uno strumento che lo stesso organismo utilizza per conferire specificità alle proprie azioni? Ed ecco che viene fuori uno strumento potente quanto efficace di nome bevacizumab. Si tratta di un anticorpo altamente specifico, che riconosce il VEGF, uno degli attori principali del fenomeno dell’angiogenesi, e vi si lega impedendone il normale funzionamento. Si tratta di un farmaco di nuova generazione, figlio delle biotecnologie e dei recenti avanzamenti della biologia molecolare, ed è stato sviluppato negli Stati Uniti, da un ricercatore italiano, Napoleone Ferrara.
Da oggi il bevacizumab sarà disponibile anche in Italia. E’ stato infatti approvato il suo uso nel nostro Paese per il trattamento tumore al colon, in associazione alla tradizionale chemioterapia. La notizia è arrivata durante i lavori del settimo congresso nazionale di oncologia medica (Aiom) in corso a Napoli fino al 21 ottobre.
”In uno studio condotto su oltre 900 pazienti – ha spiegato La bianca, presidente uscente dell’Aiom – l’aggiunta di bevacizumab alla terapia convenzionale ha aumentato del 30 per cento la sopravvivenza globale e del 71 per cento la sopravvivenza libera da malattia. Dati clamorosi per un tumore che viene considerato un big killer: provoca, infatti, 17 mila decessi in Italia e 500 mila nel mondo”.
La molecola ricorre ad un meccanismo innovativo, fatto che ha indotto i ricercatori a studiare la sua applicazione anche in altri tipi di tumori come quelli che colpiscono il polmone, la mammella, l’ovaio e il pancreas. Un primo passo, per una farmaco che – al momento – trova una sola indicazione e presenta ancora numerosi effetti collaterali. Ma si tratta di un passo decisivo, certamente il primo di una lunga strada.
Il costo del farmaco, per un mese di terapia, e’ di 3.500 euro e normalmente il suo utilizzo e’ previsto per 6 mesi.
Secondo il professor Bajetta, che sara’ a capo dell’Associazione oncologica dal prossimo 21 ottobre per due anni, ”le scoperte di biologia molecolare ci consentiranno, in un futuro ormai prossimo, una personalizzazione della terapia. Compito dell’Aiom è coordinare i gruppi di studio ad hoc, per esempio di quelli chiamati a ridefinire i criteri di valutazione della risposta dei farmaci. E’ necessario inoltre stabilire anche nuovi parametri predittivi di questa risposta: selezione dei pazienti, anche in ragione di un’ottimizzazione della cura visto i costi elevati; definire la durata della terapia in caso di combinazione con chemioterapici e, di conseguenza, la modalita’ di somministrazione”.