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mercoledì, Giugno 26, 2024
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Camorra e politica, linea dura del governo
Sciolti in provincia cinque Consigli e l’Asl 4: misura senza precedenti

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di DANIELA DE CRESCENZO



Giunte di centrodestra e di centrosinistra, amministratori comunali e dirigenti della Asl, la criminalità organizzata non ha fatto distinzioni tra schieramenti politici e gradi di responsabilità: ha minacciato e corrotto, ha piegato e si è infiltrata dovunque nella provincia di Napoli abbia trovato uno spiraglio. E ieri il consiglio dei ministri ha sciolto tre amministrazioni di centrosinistra (Afragola, Casoria e Crispano), una di centrodestra (Torre del Greco), una basata su liste civiche (Tufino) e una Asl, la Napoli 4. Provvedimenti che stanno scatenando polemiche feroci e che certamente per la mole di lavoro svolto e per la gravità dei provvedimenti adottati non trovano precedenti nella storia politica degli ultimi anni. Il quadro che emerge, al di là delle responsabilità penali che pure andranno accertate dalla magistratura, (e i risultati delle commissioni d’accesso, sono tutti all’esame dei giudici) è comunque sconfortante. In tutte e cinque le amministrazioni i funzionari della prefettura (minacciati più volte) hanno riscontrato appalti sospetti in settori diversi, dalla refezione scolastica alle pompe funebri alla raccolta dei rifiuti. Per non parlare delle concessioni edilizie che hanno meritato pagine e pagine di relazione. E delle assunzioni. Sono state una quarantina le persone (tra funzionari della prefettura e delle forze dell’ordine e consulenti alle dipendenze di enti vari) impegnate nelle commissioni d’accesso. La prima a scendere in campo fu quella di Tufino che cominciò a lavorare nel giugno del 2003, poi è finita nel mirino della prefettura l’amministrazione di Crispano (settembre 2004). Infine nell’aprile di quest’anno altre tre giunte (Afragola, Casoria e Torre del Greco), e la Asl 4 si sono trovate sotto inchiesta. Per queste ultime sono bastati sei mesi per trarre delle conclusioni. E proprio questa rapidità ha fatto dire ieri al sindaco di Casoria, Giosuè De Rosa: «Per alcuni Comuni è stata usata una corsia preferenziale, come se la sentenza fosse già scritta». Tutte le amministrazioni avranno ora la possibilità di proporre appello e, a quanto pare, tutte stanno già affilando le armi per contestare le quasi mille pagine complessive di relazione alle quali fanno da corollario, più di tremila fogli di allegati, tra concessioni ed appalti presi in esame. Difficile capire che cosa è successo e che cosa ancora sta succedendo nei Comuni alle porte di Napoli. Secondo la prefettura ci sarebbe una diffusa illegittimità nelle procedure amministrative. In alcuni casi i clan sarebbero riusciti ad infiltrare direttamente propri esponenti nell’apparato: a Torre del Greco è già in corso il processo contro un ex consigliere comunale e un dipendente della stessa amministrazione. In altri enti le gare sarebbero state fatte con un occhio di favore per le ditte legate ai clan. In alcuni casi per evitare alle imprese la necessità di esibire la documentazione antimafia uno stesso appalto sarebbe stato suddiviso in diversi tronconi in maniera da diminuirne gli importi. E gli enti avrebbero sorvolato su modifiche societarie di comodo: laddove una ditta era incorsa in guai giudiziari sarebbe ricomparsa sul mercato con nuove denominazioni, ma con gli stessi soci o con i loro parenti. Per non parlare delle concessioni edilizie e della salvaguardia del patrimonio dell’ente: in alcuni casi sarebbero state cambiate le destinazioni d’uso di immobili e capannoni per favorire i boss, in altri sarebbero state concesse licenze edilizie in zone «proibite». E poi ci sono le occupazioni abusive che a centinaia hanno flagellato l’hinterland. In questo casi le amministrazioni non avrebbero fatto nulla per impedirle.

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IN ALCUNI CASI ACCERTAMENTI GIÀ CONCLUSI. SI ATTENDE SOLO LA DECISIONE FINALE

Si indaga su altre sette amministrazioni



Da Pozzuoli a Portici: monitoraggio per scoprire le infiltrazioni


di AMALIA DE SIMONE





Rischiano l’azzeramento altri sette consigli comunali del napoletano: Sant’Antonio Abate, Pozzuoli, Portici, Pomigliano d’Arco, Brusciano, Melito e Casola. Le indagini delle forze dell’ordine e della prefettura in alcuni casi sono in corso, in altri si sono concluse. La procedura prevede o l’invio di una commissione d’accesso che poi dovrà sottoporre al prefetto di Napoli una relazione oppure lo scioglimento diretto, cioè un azzeramento senza l’invio di un’equipe di ispettori. A far cadere l’occhio degli investigatori sul comune di Sant’Antonio Abate è stato un omaggio al clan Fontanella: secondo le dichiarazioni di un pentito, infatti, il consiglio comunale volle sottoporre all’attenzione di esponenti della camorra la bozza del piano regolatore prima dell’approvazione. La procura acquisì e successivamente restituì quegli atti che risultarono regolari. A Melito l’ex sindaco Cicala è finito in manette perché coinvolto nell’inchiesta sulla guerra di camorra di Scampia tra i Di Lauro e gli scissionisti; nell’ordinanza che fece scattare il blitz si parla anche di condizionamenti sull’andamento del voto. A Casola, dopo lo scioglimento dell’amministrazione di Antonio Del Sorbo nel 1993, ha come sindaco un ispettore di polizia Alfredo Rosalba. Sul comune è in corso un monitoraggio da parte degli investigtori: tra le anomalie l’elezione del primo cittadino avvenuto con la presentazione di una sola lista, cioè senza avversari. A Portici si paventa lo scioglimento per “continuità”: infatti il consiglio comunale dell’ex sindaco Leopoldo Spedaliere fu sciolto e il provvedimento fu confermato dal tar. In prima battuta però il Consiglio di Stato capovolse la situazione annullando lo scioglimento. Nel frattempo Spedaliere si dimise, ci furono le elezioni che però confermarono la presenza di oltre la metà dei vecchi consiglieri e assessori. Successivamente in seguito a un’istanza dell’avvocatura di stato il Consiglio di Stato tornò sui suoi passi e revocò la decisione di annullamento, di fatto confermando lo scioglimento che riguarderebbe il vecchio consiglio ma che potrebbe travolgere anche il nuovo per la presenza di politici della passata amministrazione. Situazione simile a Pomigliano dove la commissione d’accesso ha indagato sugli atti del consiglio guidato dall’ex sindaco Michele Caiazzo. Il dossier è ora nelle mani del prefetto. Sono, invece, ancora in corso le inchieste delle commissioni prefettizie sia a Brusciano che a Pozzuoli, in questo secondo caso i lavori hanno già subito proroghe.








Rifiuti, custodi e vitto le mani dei boss sull’Asl 4



di ENZO CIACCIO


Pomigliano
. Benvenuti all’Asl 4. Benvenuti nella Asl degli Orrori. Qui, se eri ammalata di cancro al seno e correvi piena di paura a prenotarti una mammografia al Cup, centro unico di prenotazione, quelli della coop Ici Service, che da venticinque anni detiene il monopolio su tutto il territorio, l’appuntamento te lo fissavano subito subito: «Venga, venga fra sette mesi – sussurravano laconici – perchè prima davvero non è possibile». Nell’attesa, l’ammalata moriva, uccisa dal cancro e ancor di più da quei ritardi vigliacchi. Ma peggio per lei, che non aveva saputo farsi raccomandare dagli amici degli amici per ottenere un accertamento immediato. Benvenuti. Anzi, ben ritrovati. Nella Asl degli imbrogli, la prima in Italia sciolta per infiltrazioni mafiose. Pulizie, vigilanza, refezione ospedaliera, trasporto dei rifiuti speciali, case di cura dai capitali che puzzano di camorra, cooperative sociali utilizzate al solo scopo di espletare affidamenti evitando le gare di appalto: secondo le accuse, per anni in quelle stanze si è davvero combinato di tutto. Tranne che il bene di chi stava male. Mezzo metro. Chi ha intravisto il faldone relativo al decreto di scioglimento giura che esso contiene una montagna di accuse. I fatti risalgono agli anni fra il 2003 e il 2004, ma di episodi orripilanti se ne contano a decine, anche prima di tale data. La commissione avrebbe accertato, per esempio, che in molti casi ci si sarebbe limitati solo a chiedere i certificati antimafia per le ditte che vincevano gli appalti, senza aspettare i necessari nulla osta. E non si contano gli imprenditori che prima partecipano alle gare e poi, come folgorati sulla strada della paura, si ritirano adducendo le più strambe motivazioni. Significativa la vicenda dell’appalto per le pulizie: la gara viene vinta dall’Ati Gesap clean Service che però, durante l’appalto, cambia assetto societario. A entrare in gioco è una ditta che si chiama 3N, il cui rappresentante legale risulta agli inquirenti essere imparentato con esponenti del clan Fioravanti di Marigliano. Nel settembre scorso il direttore generale Mauro Cardone, ex dipendente della Cirio addetto alla lavorazione delle pesche sciroppate, rescisse il contratto per le pulizie, prima di dimettersi nel successivo mese di settembre. Nel frattempo, la ditta vincitrice dell’appalto sta continuando a svolgere i suoi servizi, in attesa di una nuova gara. Due ospedali, il santa Maria della Pietà di Nola e l’Apicella di Pollena Trocchia. Un bacino di 580mila utenze. Mille miliardi di vecchie lire di fatturato all’anno. 2500 dipendenti. Il tutto, in un’area ad altissimo tasso di criminalità organizzata, che vede le sue punte di diamante nei clan Alfieri e Fabbrocino. Camorra mafiosa, che da sempre osserva attenta quel che accade negli ospedali e nelle dieci cliniche private attive in zona, che garantiscono un numero di posti letto quasi doppio rispetto a quello della sanità pubblica. E orecchie dritte, da parte dei clan, anche verso i 70 laboratori (privati) di analisi presenti sul territorio. E sui 14 centri (privati) di riabilitazione. Perfino la sede, in questa Asl degli imbrogli, ha una storia che sa di sbagliato: costò nel 1985 32 miliardi di vecchie lire. In origine, doveva essere un grande e atteso Pronto Soccorso, tanto è vero che all’ultimo piano costruirono pure le camere operatorie. Poi non se ne fece nulla. Il Pronto Soccorso non vide mai la luce. E in quell’edificio ci finì la Asl. Storia imbrogliona. Oscura e cupa come una casa per orchi. Con due grandi progetti, il Polo pediatrico e il nuovo ospedale di Pomigliano, a far da appetitoso corollario. E c’è chi ricorda – in tutto questo marciume – una figura limpida di alto magistrato, Giuseppe Mancusi Barone, chiamato d’urgenza dal governatore Bassolino nel gennaio del 2001 a fare il direttore amministrativo all’Asl 4. Prima di lui, due direttori – Di Bernardo e Domeniconi – si erano dimessi di corsa a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro. «Gravi motivi familiari», fu per entrambi la scusa per chiamarsi fuori. Cronache ancora calde. Quando Mancusi Barone arrivò in ufficio, non trovò nemmeno i protocolli. E scatoloni pieni di vecchie fatture giacevano a terra inesplorati. Chi c’era ricorda le telefonate minatorie, i cumparielli «in visita», gli appalti intoccabili, risalenti alle vecchie Usl e mai rinnovati con nuovi bandi di gara, il direttore amministrativo nominato da Bassolino obbligato a vivere sotto scorta armata, l’ufficio contabilità azzerato d’imperio e affidato a tre funzionari onesti che si misero finalmente a spulciare ogni mandato prima di concedere i pagamenti seguendo – metodo inedito fino ad allora – il puro e oggettivo criterio cronologico. Si scoprì, in quel periodo, che fra i soci dell’Ici Service, la coop che gestiva le famose prenotazioni e faceva aspettare sette mesi chi stava morendo di cancro, c’erano anche figli di funzionari della Asl. Furono mandati via. Ma poi altri li reinserirono. Anche i nuovi bandi finalmente presero il via, ma poi altri li addomesticarono. E il 5 novembre del 2001, dopo quasi un anno di battaglie e minacce, al direttore Mancusi Barone fu intimato di andar via. Perchè – fu la sentenza – non essendo un camice bianco «non aveva i requisiti» per quell’incarico. Per tre volte la Giustizia ordinò che venisse reintegrato al suo posto. Invano. E alla fine vinsero loro, quelli che lo avevano sempre minacciato.





IL RETROSCENA
«I miei parenti? Fateli autisti senza patente»


di DANIELA DE CRESCENZO



«I miei generi non possono certo raccogliere la spazzatura. Metteteli nell’amministrazione. O alla guida dei camion». Il boss Giuseppe Falanga (ora detenuto) parla al telefono. L’interlocurore è uno dei responsabili della Ge.Ni.Sta., la ditta che a Torre del Greco aveva vinto l’appalto per la raccolta dei rifiuti. L’uomo cerca di prendere tempo, di tergiversare, ma poi sbotta: «E come li metto alla guida, se quei due non hanno la patente?». È uno dei tanti brani di conversazioni sospette intercettate dal magistrato della direzione distrettuale antimafia Simona Di Monte nel corso dell’inchiesta «Never again». Secondo i magistrati dell’antimafia, a Torre del Greco tutto passava per le mani del clan Falanga: dal traffico illecito del corallo a quello degli stupefacenti, alle estorsioni. Senza dimenticare il controllo degli appalti per le opere pubbliche e le assunzioni nelle ditte che vi partecipavano. E sarebbero stati proprio questi ultimi due capitoli dell’inchiesta a gettare una nuova luce sull’operato dell’amministrazione di centrodestra capeggiata dal sindaco di Forza Italia Valerio Ciavolino. Allo stesso partito era iscritto anche Aniello Esposito (per il quale un mese fa il magistrato ha chiesto 5 anni di carcere) consigliere comunale, impiegato in uno studio legale: secondo le indagini, avrebbe esercitato pressioni su ditte e manovrato gare d’appalto. E sempre nella maglie della «Never again» era finito anche il dipendente comunale Vincenzo Palomba. Secondo i magistrati il primo avrebbe rappresentato in consiglio gli interessi dei clan, il secondo avrebbe fornito ai boss informazioni utili per partecipare alle gare d’appalto. Elementi che hanno dato il via agli approfondimenti della commissione d’accesso della prefettura sfociati ieri nello scioglimento dell’amministrazione. Il sindaco Ciavolino, dopo l’avvio delle indagini, circa tre settimane fa si era dimesso per tornare in carica lunedì. Appena in tempo per essere mandato a casa dalla decisione del consiglio dei ministri. Ma la camorra, almeno secondo gli 007 che hanno ritenuto rilevanti gli elementi evidenziati dalla prefettura, riusciva con strumenti diversi a condizionare anche le amministrazioni di Afragola, Casoria e Crispano dove sarebbe riuscita a mettere le mani perfino sulla festa dei Gigli. Era il luglio del 2004, quando nel corso dei festeggiamenti su un muro venne esposta una gigantografia nella quale, tra gli altri, compariva Antonio Cennamo, boss della zona allora detenuto. E sotto l’immagine campeggiava la scritta: «Tutto questo è per te». E ancora durante la sfilata qualcuno aveva letto in lacrime una lettera con la quale il detenuto ringraziava la paranza per quanto aveva fatto per lui. L’amministrazione aveva finanziato la manifestazione con 23 mila euro. Un episodio che, è facile ipotizzare, ha trovato rilievo nella relazione della commissione d’accesso prefettizia. E che costituisce uno degli elementi serviti per mandare a casa l’amministrazione di centrosinistra capeggiata dal sindaco Carlo Esposito, Ds, in sella dal ’98 con una maggioranza schiacciante e reduce dalle ultime provinciali con 6232 voti: qualcuno in più e sarebbe stato eletto. Uno degli elementi, ma non il solo. Gli 007 della prefettura avrebbero rilevato, ad esempio, elementi sospetti anche nell’appalto per la nettezza urbana. Sarebbero stati, invece, i centri commerciali a rovinare Santo Salzano (Margherita), sindaco dimissionario di Afragola in seguito a una crisi politica. Nella terra dominata dal clan Moccia, l’amministrazione avrebbe concesso i terreni a un gruppo di mediatori che avrebbero poi patteggiato con la camorra assunzioni e servizi. E sempre i Moccia si sarebbero avvantaggiati a Casoria di concessioni edilizie. In questo caso sarebbe stata la giunta guidata da Giosuè De Rosa (Margherita) a omettere controlli e ad avvantaggiare personaggi legati ai clan. Più complessa la situazione a Tufino, tremila abitanti e una giunta guidata da un uomo del centrodestra, Carlo Ferone, ma che gode anche dell’appoggio di un rappresentante di Rifondazione Comunista. Tra due clan in lotta gli esponenti dell’amministrazione faticherebbero ad accontentare tutti.








Le opposizioni: «Una sentenza già scritta»

Afragola, Casoria, Crispano e Tufino: le reazioni al provvedimento del Consiglio dei ministri



Lo scioglimento per infiltrazioni della camorra sembra non aver colto di sorpresa chi, nei quattro centri dell’area nord, ricopre ruoli nei Consigli. «Era una decisione attesa da tempo – ha affermato il capogruppo Udc-An al Comune di Crispano Pasquale Papasso – Ormai era chiaro da anni che alcune attività amministrative e di politici locali fossero poco chiare. Ci sono stati, infatti, ripetuti episodi che avevano richiamato l’attenzione delle forze dell’ordine e del prefetto Renato Profili sulle vicende del Comune. L’aria che si respirava ormai era diventata pesante e sul paese era stato steso un velo di omertà e complicità». «È una notizia grave, che già stava nell’aria e che ci aspettavamo da tempo – commenta Ciro Silvestro, coordinatore di An ad Afragola – Sarebbe interessante conoscere le motivazioni che hanno spinto il prefetto a chiedere un provvedimento così grave, che denota la grande permeabilità delle amministrazioni locali dell’area a nord di Napoli ad infiltrazioni camorristiche, anche se personalmente mi sembra che dello strumento dello scioglimento se ne faccia un uso eccessivo. Infatti, non ritengo giusto che per le colpe di alcuni amministratori venga sciolto l’intero consiglio comunale». «Ci riserviamo di leggere le motivazioni che hanno spinto il prefetto a chiedere lo scioglimento per infiltrazioni camorristiche – sottolinea Gennaro Giustino ex capogruppo di Forza Italia – Pur tuttavia, al di là di una condanna ferma dell’azione politica dell’amministrazione Salzano, va posta con forza e determinazione una questione morale. Infatti, troppo spesso figure istituzionali abusano dell’istituzione che rappresentano per raggiungere interessi particolari e personali, che creano posizioni di rendita a danno dei cittadini» «A Casoria si è verificato quello che personalmente avevo già anticipato anche dimettendomi dal consiglo comunale»: l’ex parlamentare Francesco Polizio, nemico numero uno della maggioranza di centrosinistra guidata da Giosuè De Rosa, è esplicito. «La violazione di leggi e regolamenti era quotidiana: avevo proposto l’autoscioglimento dell’assemblea cittadina ancora prima che arrivasse la commissione d’accesso per evitare l’onta dell’indelebile marchio di città di camorra». Dura anche Rifondazione comunista che, alcune settimane fa, addirittura aveva chiesto pubblicamente un incontro con i rappresentanti della commissione prefettizia per «svelare le malefatte della coalizione di maggioranza che gestiva la città». «A Tufino giustizia è stata fatta»: secco il commento del leder dell’opposizione Francesco Esposito alla notizia dello scioglimento del consiglio comunale. L’ex sindaco del piccolo centro che ospita un impianto di Cdr, ora capogruppo di minoranza ribadisce «i torti e le ingiustizie subite durante l’amministrazione Ferone, che ha fatto sempre valere con arroganza la forza dei numeri». «Ci è stata negata – denuncia Esposito – perfino la rappresentanza negli organismi istituzionali. Valga per tutto l’assenza di un nostro rappresentante nella commissione edilizia». Un muro di cemento dunque tra la minoranza, che non partecipava più ai consigli comunali, e la maggioranza accusata «di gestione clientelare e dispotica» dai suoi avversari politici.



Carmen Fusco, Domenico Maglione e Alessandro Urzì









LE REAZIONI DEI POLITICI. Pezzella (An): adesso intervenga la magistratura


Non solo reazioni tra i politici impregnati nella gestione dei Comuni. Per il maxiprovvedimento che ha mandato a casa le assemblee di quattro centri dell’area nord (uno nella zona sud: Torre del Greco), oltre ai vertici dell’Asl 4, scendono in campo anche i politici che ricoprono ruoli nazionali. «Lo scioglimento di un consiglio comunale – sottolinea Giuseppe Gambale, responsabile della Margherita per la lotta alle mafie e componente della commissione parlamentare antimafia – è sempre un atto estremo che incide profondamente nella vita democratica delle amministrazioni locali. Quello che ci preoccupa è la strumentalizzazione politica di tali disposizioni, resa ancora più evidente dal fatto che non è stato il ministro Pisanu o il prefetto di Napoli a darne notizia per primi, ma l’onorevole Landolfi che oltre a essere ministro è anche coordinatore regionale di An in Campania ed è impegnato in questi giorni in una violenta campagna politica contro le istituzioni locali. Valuteremo – conclude Gambale – in ogni singolo caso l’opportunità di ricorrere al Tar». «I fatti di oggi sono la dimostrazione che seppur lentamente sta emergendo la tangentopoli rossa in Campania, da me denunciata da molto tempo», è il commento del deputato di Forza Italia Ciro Capuano. Per l’ex sindaco diessino di Pomigliano, oggi consigliere regionale, Michele Caiazzo «tali provvedimenti appaiono carenti e senza motivazioni valide; sono ingiusti verso le comunità locali nonché frutto di insopportabili condizionamenti, ricatti e contrattazioni». Caiazzo ha continuato affermando che «invece di combattere veramente la camorra e di colpire i camorristi e i loro complici si abusa della legge sciogliendo i consigli comunali e gettando fango su intere comunità locali». E chiede Caiazzo: «A chi giova tutto questo?». Il deputato di An Antonio Pezzella invita la magistratura a prendere provvedimenti: «Vanno bene gli scioglimenti d’autorità fatti dallo Stato, ma da soli questi provvedimenti non bastano. Se non ci sono atti consequenziali da parte della magistratura, che è un altro pezzo dello Stato, si rischia infatti di rendere meno incisiva, e soprattutto credibile, la lotta, che tutti, partiti e schieramenti, si dicono di condividere contro questo diffuso malcostume e degrado morale che, come si può ben vedere non ha bandiere politiche». «Lo scioglimento dei consigli comunali e dell’Asl Na 4 solleva seri dubbi – afferma il senatore Tommaso Casillo (Sdi) – Sono curioso di sapere in quali settori della pubblica amministrazione le commissioni d’accesso abbiano ravvisato condizionamenti da parte della malavita. Se effettivamente ci sono state, è giusto che vengano perseguite. Prima di conoscere le motivazioni, mi chiedo e chiedo al ministro Pisanu: un commissariamento annunciato dal ministro delle comunicazioni, alto esponente di Alleanza Nazionale, è un atto istituzionalmente corretto? A questo punto, dobbiamo temere che venga commissariata anche la Regione Campania per la mancanza di un certificato antimafia?». Per il deputato Mimmo Tuccillo (Margherita) «è un fatto grave e doloroso rispetto al quale bisognerà valutare bene le motivazioni a sostegno dei provvedimenti e verificare le responsabilità». E aggiunge: «Per quel che riguarda più in generale la questione morale, non possiamo non registrare che questi provvedimenti si calano in un contesto di degenerazione della lotta politica in lotta giudiziaria con ricorso massiccio e spregiudicato negli ultimi mesi a metodi e strumenti estremamente discutibili da parte della destra». Il segretario provinciale della Margherita Salvatore Piccolo dice: «Troppe volte si è solo infangato il nome delle persone e delle istituzioni, generando pericolose sospensioni delle garanzie costituzionali e ledendo l’immagine e l’autonomia degli enti locali. La verità è che l’attuale normativa che regola questi procedimenti, divenuta ormai un mero strumento di azione politica, va modificata. La lotta alla camorra e alle infiltrazioni nella pubblica amministrazione – conclude Piccolo – è una cosa seria e va condotta con strumenti seri e, soprattutto, senza intenti di strumentalizzazione politica».








I SINDACI: ORA NON PENALIZZATE GLI UTENTI DELLE ASL




di PINO NERI



Pomigliano. Lo scioglimento dell’Asl 4 per infiltrazioni mafiose infiamma lo scontro politico sia sul fronte governativo che su quello regionale. Alleanza Nazionale attraverso Italo Bocchino, Francesco D’Ercole e Luciano Schifone, sparano a zero su Bassolino e sull’assessore Montemarano. Ma nel territorio in cui è scoppiato il caso, il commento di sindaci e politici di tutti gli schieramenti è praticamente unanime: «Preoccupiamoci delle ripercussioni che questo provvedimento potrebbe determinare sui cittadini». Da queste parti c’è grande rispetto per la decisione presa dal Consiglio dei ministri ma c’è anche il timore di una paralisi improvvisa dei servizi destinati ai quasi 600mila utenti dell’Asl. L’osservazione è stata avanzata proprio da tre sindaci di centrodestra: Antonio Manna, Antonio Agostino Ambrosio e Felice Napolitano, rispettivamente a capo delle amministrazioni comunali di Casalnuovo, San Giuseppe Vesuviano e Nola. Manna e Ambrosio, tra le altre cose, sono anche i rappresentanti della conferenza e della consulta dei sindaci dell’Asl. «Quello che è successo – dice Manna – è un fatto di enorme gravità, che sarà stato certamente motivato da questioni concrete ma mi auguro che la comunità non ne soffra e che anzi sia tutelata». «Sono preoccupato – aggiunge Ambrosio – del destino della attività, della progettualità. Noi sindaci continueremo comunque a dare il nostro contributo propositivo». «Sono rimasto sorpreso da questo decreto – commenta Napolitano, sindaco di Nola – la camorra è un cancro che si impadronisce della parte sana della società e gli amministratori sono sempre privi di protezione». E Tommaso Sodano, senatore di Rifondazione, eletto nel collegio di Pomigliano così commenta: «Io sono garantista per convinzione e inoltre voglio credere che non ci sia nessuna strumentalizzazione politica dietro questa vicenda, ma il tema della questione morale ora più che mai dev’essere la priorità dell’agenda politica nel nostro Mezzogiorno flagellato dalla mafia. Ci vorranno però norme più chiare che mettano i pubblici amministratori in condizione di contrastare efficacemente il riciclaggio di danaro sporco». Secco, invece, il giudizio di Paolo Russo (Fi), presidente della commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti, eletto nel collegio di Nola: «Non ho mai contestato – dice – provvedimenti del genere quando li ritengo giustificati, ed è questo il caso. Gli amministratori pubblici devono adoperarsi per evitare le infiltrazioni mafiose: in questo senso va colto positivamente il segnale dato dal Consiglio dei ministri, poi sarà la magistratura a fare le sue valutazioni». Più cauta è l’opinione di Antonio Della Ratta (Ds), sindaco di Pomigliano: «Bisognerà valutare attentamente – spiega – le motivazioni del decreto. Noi siamo stati sempre a favore delle indagini e dei controlli antimafia ma in ogni caso credo che questa cosa sia, sotto il profilo politico, devastante per l’immagine della sanità. Infine ci sono le contraddizioni: loro hanno il potere di sciogliere le amministrazioni senza far capire il perché a chi le dirige». «Siamo additati da tutti come dei ladri, il clima che si respira oggi in sede non è dei migliori. Ora non sappiamo cosa ci aspetta»: è la preoccupazione espressa dai dipendenti dell’Asl. «Questo scioglimento – hanno aggiunto – si ripercuote anche su noi operatori, perché ora siamo additati come i dipendenti dell’unica azienda sanitaria in Italia ad essere stata accusata di infiltrazioni camorristiche». A chiudere il rosario delle reazioni, il commissario dell’Asl 4 Salvatore Iovino, nominato il 30 settembre dopo le dimissioni del direttore gemnerale Mauro Cardone: «Per ora non voglio parlare – ha concluso Iovino – per me il lavoro finirà quando il decreto ministeriale giungerà all’Asl. Quando il documento arriverà, me ne andrò».




DAL QUOTIDIANO “IL MATTINO” DEL 22 OTTOBRE 2005

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