venerdì, Luglio 18, 2025
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I VENTENNI CHE GIOCANO A FARE I CAMORRISTI
«PAURA DI MORIRE? LA VITA E’ GIA’ PERSA»
Le intercettazioni. Dai verbali il ritratto dei baby boss di Melito



MELITO. Ai ventenni di Melito che giocano a fare i camorristi manca l’esperienza. Gli indagati parlano senza precauzioni, citano nomi e cognomi di fiancheggiatori e alleati, discutono tranquillamente di eroina, cocaina, marijuana, crack. Dalle intercettazioni telefoniche e ambientali emergono importanti spunti investigativi, ma anche miseri spaccati di vita metropolitana. Il tutto è contenuto nella voluminosa inchiesta della Procura di Napoli che mercoledì ha portato all’emissione di 38 decreti di fermo, 29 dei quali eseguiti. Solo a Melito sono stati acciuffati in 16, mentre altri due sono stati catturati a Giugliano. Qui abitavano i due fratelli Venosa, Giovanni e Francesco, indicati dagli investigatori come «appartenenti al gruppo degli scissionisti». Francesco, il più piccolo dei due, non ha ancora compiuto 19 anni quando, il 6 aprile 2005, parla al telefono con la fidanzata Anna. La conversazione, finita agli atti della Procura, racconta in maniera esemplare come ragiona la gioventù di mala. «Non la cambio la mia vita, per nessun motivo al mondo», dice Francesco ad Anna che gli prospetta l’ipotesi di partecipare al concorso per maresciallo dei carabinieri. «Ma tu hai solo 19 anni, puoi cambiare benissimo. Perché sei rassegnato?», domanda la ragazza. Francesco tentenna un po’, poi passa all’attacco. «Per il momento abbiamo subito e ora dobbiamo recuperare il rispetto che abbiamo perso – dice riferendosi alla guerra contro il clan Di Lauro – La gente, quando camminavamo nel rione, non aveva il coraggio di guardarci in faccia. Adesso, all’improvviso, stanno alzando tutti quanti la testa». Il giorno dopo Francesco è al telefono con un’amica. «Ricordatelo per bene – le dice – io non ho paura di nessuno. La mi vita, ormai, già l’ho persa».
La generazione dei camorristi ventenni non parla solo di futuro. I giovani di mala conversano tranquillamente – in casa e in auto – di omicidi, droga, piazze e spaccio. In una delle tante intercettazioni ambientali spunta il ruolo di Daniele Perone, coordinatore dei pusher di via Cupa Sant’Antimo, a Melito, per conto dei Di Lauro. Sono le due del pomeriggio quando il responsabile della piazza di droga rammenta ai suoi interlocutori che «i vertici del clan gli hanno riferito che l’attività di spaccio deve iniziare sin dal mattino». Ma in considerazione della massiccia presenza delle forze dell’ordine, lui decide di prolungare il turno pomeridiano sino alla notte. Spetta sempre a Perone, poi, decidere se pusher e sentinelle abbiano diritto o meno al risposo settimanale.
Il mondo alla rovescia dei baby boss emerge in tutto il suo squallore all’interno di una conversazione registrata il 30 aprile scorso. Tre giovani commentano l’omicidio di Antonio Russo, uno spacciatore di Melito ammazzato tre settimane prima in via Madonnelle. Uno degli interlocutori dice: «Tonino era un bravo ragazzo. Se lo mandavi ad incendiare un’auto, quello ci andava e incendiava tutto. Perché era bravo, fratello. Troppo bravo».







Ecco la divisone del territorio tra Di Lauro e scissionisti. I «ribelli» controllano Mugnano

NELLA «219» DI MELITO LO SPACCIO E’ GIA’ RICOMINCIATO




MELITO.
La mercedes nera arriva sgommando. Il rione sembra deserto. Solo qualche gatto gioca con i manifesti pubblicitari strappati da mani ignote e gettati sui marciapiedi. I portoni delle case sono sprangati. Alle finestre non ci sono imposte ma spesse grate di ferro. Sui muri sgretolati e scheggiati si notano i buchi provocati dalle pallottole. Tutto intorno un silenzio carico di tensione e di indifferenza. Dall’auto scendono due giovani, due capizona. Avranno al massimo venticinque anni. Vestono in modo elegante, portano occhiali scuri. Parlottano con tre-quattro ragazzini, le palpebre arrossate dall’eroina, gli occhi lucidi e assenti. Pochi secondi, qualche formalità. Ecco il gioco è fatto: una busta contenente le dosi di crack scivola nella mano di uno che stringe nell’altra una mazzetta di soldi, 300-400 euro. Un rapido saluto, uno sguardo di intesa e i due giovanotti svaniscono nel dedalo di viuzze di Melito. La storia si ripete ogni giorno, ad ogni ora. Sotto gli occhi di tutti, nel rione 219, crocevia di questo paesotto dell’entroterra napoletano sventrato dalla speculazione edilizia. E anche ieri, all’indomani del blitz che ha portato in cella gli eredi del clan Di Lauro e quelli della fazione scissionista, pusher e sentinelle hanno ripreso a lavorare. Più discreti, meno numerosi, ma puntuali come sempre. Perché gli affari sono affari, e non sarà di certo una maxiretata a fermare quel business che fattura 500mila euro al giorno.
Qui, nel rione di edilizia popolare di Melito, abitava gran parte dei fermati. Ed è qui che il clan Di Lauro gestisce le piazze di spaccio più redditizie. Nomi e ruoli dei «fiduciari» sono contenuti nelle oltre cinquecento pagine del decreto di fermo. Spunta così Maurizio Maione («capozona di Melito»), Pasquale Malavita («responsabile delle piazze di spaccio di Melito e Secondigliano»), Pietro Esposito («responsabile della piazza di spaccio di via Danubio»), Daniele Perone (il fiduciario del baby boss Salvatore Di Lauro e «responsabile dello spaccio in via Cupa Sant’Antimo») e Gennaro Parisi («responsabile delle estorsioni»). Per tutti l’accusa è di «aver costituito un’associazione camorristica che si avvale per la forza intimidatrice del vincolo associativo e delle condizioni di assoggettamento e di omertà che ne derivano».
Ma a Melito non c’è spazio solo per i dilauriani. Dopo la guerra di camorra che ha prodotto più di cinquanta morti in pochi mesi, anche gli scissionisti hanno ripreso a lavorare. Il gruppo – secondo quanto emerge dal decreto di fermo – controllerebbe, oltre ad una parte dei territori di Scampia, Secondigliano e Melito, anche i Comuni di Mugnano, Arzano e Casavatore. Anche qui, osservano gli investigatori, l’organizzazione delle piazze di spaccio avviene attraverso «strutture ben organizzate», al punto da multare di 50 euro chi commette un’infrazione. «Le piazze – si legge nei verbali – sono dotate di una limitata autonomia ma sempre riferite alla organizzazione centrale, caratterizzate da una precisa pianificazione del lavoro, da una codificata ripartizione dei compiti anche attraverso la predisposizione di turni di lavoro e orari prefissati».