NAPOLI. «La guerra gli ha fatto proprio male, è dimagrito tantissimo, ha gli occhi scavati, non sta mai fermo in un solo posto». È così che lo descrivono gli uomini di fiducia nelle intercettazioni captate dalla Dda di Napoli nell’inchiesta sulla camorra di Secondigliano: è il profilo di Nunzio Di Lauro, ventuno anni ad ottobre, sfuggito al blitz che mercoledì mattina ha portato in cella ventinove presunti esponenti del narcotraffico di Secondigliano, in un’indagine che ha sgominato la cupola dei ventenni, gli eredi dei Di Lauro e degli scissionisti. Dopo l’arresto di Salvatore Di Lauro, i riflettori della Dda di Napoli, sono puntati sul fuggitivo della famiglia di Paolo Di Lauro, quel «Nunziello» che nelle conversazioni raccolte dalle microspie dell’Antimafia viene descritto come un «infame» capace di esercitare un ruolo nel «Vietnam» dei lotti popolari tra Scampia e Secondigliano. È lui l’attuale reggente della cupola creata dal padre, il famigerato Ciruzzo ’o milionario. Un duro, meno cauto, diplomatico ed attendista del fratello Salvatore (detto il «compariello») da due giorni in cella, ma morbosamente protettivo proprio nei confronti del piccolino di famiglia. La Dda lo dice a chiare lettere: possiede armi comuni, da guerra e a «puntamento laser», ma fa di tutto per non esporre il fratello nei mesi caldi della faida dei cinquanta morti che ancora ad aprile del 2005 – in piena tregua – divora vite umane. Anche «Nunziello», anagraficamente il quinto dei Di Lauro dopo Vincenzo, Cosimo, Ciro (tutti e tre detenuti) e Marco (latitante), ha il fiato sul collo degli 007 della Procura nazionale antimafia: nelle indagini della Dda condotte dal pm Luigi Alberto Cannavale, l’ultimo latitante consolida il suo potere nel lotto di case popolari chiamato «Eros», una delle macchine da soldi dell’economia di famiglia fondata sul traffico di cocaina, kobret e di ogni genere di sostanza stupefacente, oltre a controllare grazie a uomini di fiducia l’area del melitese, una fetta di territorio strappata con i denti agli scissionisti. Assieme al fratello Marco ora è chiamato a un doppio compito: difendere il sistema delle piazze costruito all’indomani della tregua e sfuggire alle manette. Dalle cinquecento pagine del decreto di fermo spiccato all’alba di mercoledì da carabinieri e guardia di finanza emergono particolari sulla dinasty camorristica del «Vietnam» napoletano, come viene definito il quartiere della faida in una conversazione intercettata: è infatti al famigerato Cosimino, che due giovanissimi affiliati attribuiscono la responsabilità di aver «mandato ad uccidere Gelsomina Verde, la ragazza torturata e carbonizzata per non aver fatto il nome degli scissionisti», un’accusa intercettata che – è bene chiarire – non ha alcun riscontro sotto il profilo investigativo. Decisivo nell’inchiesta anche l’attacco ai patrimoni che fa emergere codici di comportamento e stili di vita della generazione Ottanta del crimine napoletano: al trentanovenne Pasquale Malavita, disoccupato all’anagrafe, le fiamme gialle hanno sequestrato una Audi A4, una Smart e una Honda, ma anche diecimila euro in contanti e diversi orologi Rolex, mentre al ventottenne Gennaro Parisi, i militari hanno sequestrato una Porsche fiammante, gelosamente custodita in un box di una casa popolare di Melito. Intanto, arrivano conferme sul fronte giudiziario. Il gip del tribunale dei minori ha convalidato il fermo a carico di Salvatore Di Lauro ed ha emesso un ordine di custodia cautelare a carico del «piccolo mastro», che ieri si è avvalso della facoltà di non rispondere. Un’inchiesta che regge, quella sui teenagers del crimine, pronti a bruciare le tappe, a divorare in modo vorace il tempo a disposizione, grazie ai guadagni facili assicurati dalla droga (fino a mille euro alla settimana), che ti porta nel baratro della cella, fino a «cinquecento anni di carcere» o a fare la fine «dei morti che camminano».
LEANDRO DEL GAUDIO – IL MATTINO 10/02/2006