Non so se vi è mai capitato di guardare Napoli con uno sguardo da forestiero. Per esempio, di passare una vacanza fuori dalla nostra regione, non necessariamente lontano, voglio dire non in Trentino, ma nel Lazio o in Umbria. Ecco, se lo fate, quando tornerete, vi accorgerete di molte assurdità. Vi salteranno meglio all’occhio. Per esempio, la resistenza al casco. Una pratica oramai da tutti comunemente accettata, entrata nella norma, qui sembra ancora improponibile. Ma quello che è davvero ridicolo è proprio il perdurare di questa condizione. Questa idea di essere una tribù resistente, cioè, tradotto, più furba degli altri. Questa furbizia fa assumere agli abitanti strane forme simboliche. Il napoletano si impegna e si industria per diventare un simbolo vivente. Cioè, lo vuole proprio mostrare, il simbolo. Se da stranieri arrivate a Napoli, osserverete le strane forme simboliche che assumono i motociclisti. Vi chiederete che senso ha portare il casco integrale appena appoggiato sulla nuca.
Vedrete una forma grottesca, un cranio abnorme passarvi accanto con la moto. Tutta questa farsa solo per piazzare con un solo movimento in testa il casco in caso di posto di blocco. Una botta sul casco ed ecco che quello entra. Passa il posto di blocco e il motociclista ritorna alla sua condizione primaria. Si solleva il casco e ridiventa una figura grottesca, un mostro dal cranio allungato. Fino al prossimo blocco. Oppure, sempre se vi diverte il giochino, potrete vedere motociclisti con il casco integrale infilato al braccio destro. Un casco pesante, costoso, portato al braccio. Un’altra forma malata, una figura bizzarra, un motociclista mutato avenzerà verso di voi. Il casco sembrerà infatti una mostruosa protezione per il gomito, il gomito destro. È scomodo guidare con questa protesi, questo bubbone al gomito che di sicuro intralcia i movimenti, li rende difficili. O infine acquistare un casco di una o più misure più piccola, così che si incastra in testa. Dunque non c’è bisogno di allacciarlo. In questo caso, le due cinghie non servono e pendono dalle orecchie del motociclista come i bargigli dei galli. Per un occhio straniero deve essere difficile immaginare il perché di queste treccine pendule, oltrettutto scomode, che sbattono sul collo, sulle spalle, danno fastidio insomma. Ma si sa, la resistenza ha i suoi disagi. E il motociclista mutato, mutato dalla furbizia, ha le sue convinzioni. Apparire. Apparire come una persona rispettosa delle leggi, con una piccola differenza. Le regole vanno solo evocate. Il motociclista mutato napoletano è una persona che evoca una regola. Mette il casco in mostra per testimoniare la sua buona volontà. Appare come uno che porta il casco. Ma non lo indossa. Vuole apparire un simbolo di diversità antropologica, appunto. Questa evocazione nel caso di Napoli è una recita collettiva. Tutti recitano in stile grottesco la propria parte. Motociclisti e forze dell’ordine. Se c’è tolleranza zero, il casco si indossa, appena la tolleranza zero si abbassa e ciò accade spesso, perché la mutazione riguarda tutti, si evoca il casco. Sarà mai possibile che Napoli abbandoni lo stile grottesco con cui di solito si manifesta e si guardi vivere senza esagerare con i simboli? Potrà riuscire mai il motoclista napoletano a smettere di rappresentarsi come figura grottesca, sbilanciata, ridicola? Riuscirà a mettere la testa a posto, proteggendola dalla stupidità?
Antonio Pascale – il mattino 1 aprile 2006