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«I killer avvertiti dal nipote del boss, così fecero fuoco», svelato il retroscena della ‘strage’ del Venerdì santo

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«Luigi Fezza fece da specchiettista». Con queste parole la Cassazione ha messo fine al lungo processo nei confronti del nipote del boss Tommaso Fezza, imputato per l’omicidio di Antonio Venditti nell’aprile 2007. Le motivazioni pubbliche della pronuncia della Suprema Corte, che ha respinto il ricorso fatto dai legali difensori, hanno confermato la condanna a 30 anni di reclusione dopo tre pronunce in appello e due annullamenti disposti con rinvio dalla Cassazione stessa.

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Era il giorno di venerdì santo, in viale Trieste a Pagani, quando Venditti morì. Fu colpito da una scarica di proiettili esplosi da uno scooter con a bordo due persone. E dopo il “segnale” lanciato da Luigi Fezza, appostato nei pressi di un circolo ricreativo. Per lo stesso processo, fu assolto un secondo imputato, Vincenzo Confessore. A fornire riscontri sul ruolo di Fezza furono delle intercettazioni a telefono aperto, dove l’imputato confabulava in attesa di contattare il fratello Francesco. Su quei frammenti vocali furono disposte consulenze che chiarissero l’appartenenza ai vari soggetti ascoltati. La posizione di Fezza fu l’unica a resistere, nonostante le censure della difesa. La frase chiave fu quella che indicò l’arrivo della vittima a bordo di uno scooter: «Scende con Sh». La notizia riportata da Il Mattino.

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