Aveva deciso di uccidere il boss perché avevano sparato nelle finestre della sua abitazione rischiando di colpire la moglie. Una settimana prima inoltre era scampato ad un altro agguato. Per questo Fabio Orefice (arrestato dai carabinieri di Varcaturo, diretti dal maresciallo Procolo Petrungaro, coordinato dal capitano De Lise della Compagnia di Giugliano), considerato esponente apicale del clan Mele, tirò in ballo un suo zio conoscente del boss Pasquale Pesce per fargli avere il messaggio intimidatorio e dirgli di non permettersi più di toccare la sua famiglia. Il 16 ottobre del 2014 Orefice però rimase ferito in un agguato mentre si trovava sotto
casa in compagnia della moglie. E due giorni dopo postò sul suo profilo facebook le foto che lo ritraevano già in piedi nella stanza dell’ospedale con i segni delle ferite riportate scrivendo: «Il leone è ferito ma non è morto, già sto alzato. Aprite bene gli occhi che per chiuderli non ci vuole niente. Avita muriii».
La risposta dei nemici del clan Pesce-Marfella non si fece attendere: il 22 ottobre 2014 alcuni sicari arrivarono con una moto di grossa cilindrata sotto la sua abitazione e fecero fuoco più volte contro il suo balcone. Da allora cominciò a meditare la vendetta nei confronti del boss. Fabio Orefice è inoltre genero di Antonio Bellofiore detto ‘Tonino 38’ considerato attualmente a capo del gruppo operante nella zona di via Cannavino a Pianura.