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giovedì, Luglio 4, 2024
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IL RITRATTO – La scuola e la moto: i due volti di Salvatore

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NAPOLI – Ora che di lui ha parlato il capo dello Stato, ne hanno parlato politici e uomini di cultura, ora che i no global metteranno il suo nome su uno striscione «per denunciare la strategia della tolleranza zero», le parole che più si fissano nella mente restano quelle pronunciate sabato sera da un uomo inginocchiato accanto al suo corpo immobile, un uomo con gli occhi rossi per le lacrime e i pugni serrati per la rabbia. «T’avevo ditto va’ a scola, quanta vote te l’aggio ditto». Parlava a suo nipote Salvatore morto da rapinatore a 13 anni, quell’uomo. E nel suo lamento c’era tutta la brevissima storia di un ragazzino che a scuola ci andava, sì, quest’anno avrebbe dovuto prendere la licenza media e poi forse si sarebbe iscritto all’istituto alberghiero, ma che aveva altre cose in mente. E non solo in mente: faceva altre cose. La mamma Lina e gli altri parenti e gli amici e forse pure quello zio che gli parlava a vuoto, adesso ripetono che Salvatore non era un delinquente, che non ha mai fatto rapine e che non ha provato a farla nemmeno sabato sera. Dicono che si era iscritto a un corso per barman, e per questo voleva fare la scuola alberghiera.
Dicono anche che gli piaceva giocare a calcetto, e a chi è che non piace, a quell’età? Giurano che era bravissimo con il pallone tra i piedi, e magari è vero, magari aveva un talento che avrebbe fatto bene a coltivare. Sicuramente, però, ne coltivava un altro, Salvatore: guidare la moto. «Un manico, uno che col mezzo ci parlava», dice con orgoglio un amico del quartiere, usando frasi un po’ gergali che però esprimono bene il concetto. Questo sicuramente è vero, perché l’ultima cosa che questo ragazzino ha fatto nella sua vita è stato un inseguimento con tanto di testa-coda alla guida di una Honda Chiocciola 200, che ha la forma di uno scooter ma il peso di una moto. «E non credo sia un caso che guidasse lui, perché chi va a fare le rapine, anche se è giovanissimo, sa bene che potrà trovarsi a dover scappare. Ci sono quelli che guidano sempre e quelli che stanno sempre seduti dietro», spiega un poliziotto che di rapinatori di ogni età ne ha arrestati parecchi.
Salvatore invece non lo avevano mai nemmeno fermato. Né in questura né alla caserma dei carabinieri di Secondigliano o di qualunque altro quartiere c’è un fascicolo a suo nome. Però lo scooter col quale lui e il suo amico Thomas hanno inseguito l’agente, era stato rapinato il 29 dicembre scorso. In un’altra parte della città, sulla collina del Vomero. Forse non erano stati loro, forse gliel’aveva prestato qualcuno degli amici di via Labriola. Oppure è vero il contrario: non ci dovrebbe volere molto a chiarirlo, se chi subì la rapina al Vomero ricorda i volti di quelli che lo aggredirono.
Ma Salvatore, giurano i familiari, la motocicletta nemmeno la sapeva portare. La bicicletta sì, invece. Quella era un’altra delle sue passioni. «Passava ore avanti e indietro nei viali qui intorno», racconta una vicina di casa del rione 167, quei casermoni di cemento da dieci o dodici piani che sono la periferia della periferia di Napoli, perché stanno ai margini anche del quartiere di Secondigliano, al quale appartengono. Il ragazzino ucciso viveva qui, in due camere, bagno e cucina con la madre e un fratello più grande. Il padre se ne andò più di dieci anni fa, lasciò moglie e figli e si trasferì al nord. Ora sta a Lodi: in carcere a scontare una serie di condanne per varie rapine. «Quello era un brutto tipo – giura la vicina di casa – ma Salvatore non aveva preso dal padre. L’avete capito o no che a tredici anni passati andava ancora in bicicletta, e invece a quell’età tutti vogliono il motorino? Lui era ancora un bambino, pure se era bello grosso. Sentite a me: quel poliziotto si è impressionato e ha sparato. Poi si sono inventati ’sta storia della rapina».
Pure gli amici vorrebbero dire che le rapine Salvatore non le faceva. Anzi, lo dicono. Dicono che quando si vedevano la sera andavano ai videogiochi, e che lui, ovviamente, era bravo pure a quelli. Dicono che era «bravo», che in napoletano significa buono. Poi uno, convinto di parlarne bene, dice una cosa che invece è un’involontaria accusa contro il suo amico. Ma perché l’altra sera lui e Thomas, quando dopo essere stati feriti hanno incontrato i carabinieri, hanno raccontato di essere stati rapinati? «E sennò li arrestavano. E che, Salvatore era scemo? Mica si faceva arrestare, lui». Invece alla sua età non lo avrebbero arrestato affatto.


Fulvio Bufi – Corriere della Sera 6 gennaio 2002

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