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giovedì, Luglio 4, 2024
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«Vorrei ridarvi quel figlio ma non mi sento in colpa»

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PARLA IL POLIZIOTTO CHE HA SPARATO AL TREDICENNE CHE VOLEVA RUBARGLI IL MOTORINO



«Indossavano berretti di lana, c´era poca luce, ero certo che mi avrebbero ammazzato». «Mi sento minacciato, dormo in caserma»





SALVATORE: il poliziotto si chiama così, come il bambino-rapinatore che ha ucciso l’altra sera in una strada di periferia. La vita dell’agente che ha reagito sparando contro chi voleva portargli via la moto è cambiata in pochi secondi, gli stessi costati la morte di un ragazzo di tredici anni e il ferimento di un diciassettenne. Prima era sereno. Ora in lui c’è un grumo di angoscia accresciuta da un interrogatorio durato un’ora e mezza, al termine del quale il sostituto procuratore Monica Campese l’ha ufficialmente indagato per eccesso colposo di difesa. L’ipotesi di reato potrebbe però tramutarsi in quella, più grave, di omicidio colposo. Anche lui giovanissimo, 19 anni, alto, capelli biondi tagliati a spazzola, Salvatore è frastornato e impaurito. «Faccio il poliziotto. Per il mio lavoro ho sempre messo in conto l’eventualità di un conflitto a fuoco, ma quello che è successo l’altro giorno mi segnerà per tutta la vita. Sono addolorato, sconvolto per la morte di quel bambino, ma giuro che non è stata colpa mia», dice rispondendo alle domande poste alla presenza del suo avvocato, Angelo Pisani, che commenta: «E’ stata legittima difesa. Sia lui che il ragazzo morto sono vittime della stessa tragedia e della violenza che opprime questa città».

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Salvatore, ci racconta che cosa è accaduto esattamente sabato sera?





«Erano le sei. Guidavo il mio Liberty in via Aldo Moro, una strada poco frequentata del quartiere Secondigliano. Stavo andando al supermercato per comprare una videocassetta, perchè avevo deciso di trascorrere la serata a casa e vedere un film. Ho avuto la netta sensazione di essere seguito, mi sono voltato e ho visto due persone su una moto (risultata rapinata il 29 dicembre, ndr). Mi hanno raggiunto. Quello seduto sul sellino posteriore (Thomas, 17 anni, complice del tredicenne che guidava, ndr) aveva la pistola in pugno. Non sapevo, non potevo sapere che si trattava di un’arma giocattolo. «Fermati e dacci la moto», hanno detto».






E lei che cosa ha fatto?





«Ho cercato di scappare. Mi sono reso conto che se fossi andato avanti sarei finito in una zona di campagna completamente isolata, quindi ho fatto dietrofront per raggiungere una via del centro, più affollata e quindi sicura. Loro hanno capito la mia mossa e sono riusciti a tagliarmi la strada. A un certo punto quello che guidava ha gridato all’altro: `´Spara, spara!´´».




Non si è accorto che era poco più che un bambino?





«No, entrambi avevano dei berretti di lana che nascondevano in parte i volti, e poi c’era poca luce. Mi sono sentito in pericolo, ero certo che mi avrebbero ammazzato, così ho estratto la pistola e ho sparato un solo colpo, dall’alto verso il basso: volevo intimorirli, non credevo certo di colpirli».





Non poteva qualificarsi, dire che era un poliziotto?





«Non ne ho avuto il tempo, tutto si è svolto in una manciata di secondi. Non credevo che l’unico colpo che ho sparato li avesse colpiti entrambi. Sono fuggiti, sembravano illesi. Allora ho chiamato il 113 per avvertire i colleghi che avevo subito un tentativo di rapina e che avevo sparato un colpo di pistola. Solo dopo mi hanno detto che c’era un ragazzo ricoverato in ospedale con una ferita d’arma da fuoco a una mano: l’ho riconosciuto, era proprio uno dei due rapinatori. Poi, in questura, mi hanno avvisato che il complice era morto».




Che reazione ha avuto?





«Mi è crollato il mondo addosso. Tredici anni, aveva solo tredici anni… Uno legge di queste storie sul giornale, di una città dove anche un ragazzino può arrivare a sparare, ma non pensa mai che un giorno possa capitare a lui. Mi creda, è una cosa terribile, ci si sente come svuotati. Davanti a una tragedia come questa non c’è differenza fra un poliziotto e un cittadino qualsiasi. Un poliziotto, anche uno come me che finora ha sempre lavorato in un ufficio, mette in conto un conflitto a fuoco, non certo episodi del genere».






I genitori di Salvatore sono disperati, dicono che il loro figlio è stato assassinato. Che cosa si sentirebbe di dire loro?





«Che sono affranto, che non riesco ad accettare quello che è accaduto. Ma giuro che non è stata colpa mia. Non potevo neanche immaginare che i ragazzi avevano una pistola giocattolo. Per me erano due rapinatori pronti a fare fuoco, decisi a uccidermi. Mi sono visto perso. E poi ho sparato un solo colpo, ripeto, a scopo intimidatorio: non volevo colpirli, ma solo metterli in fuga. Ora mi sento minacciato, evito di andare a casa e dormo in caserma».






Lei è un agente ausiliario, fra poco dovrà decidere se continuare o cambiare mestiere e cominciare una nuova vita. Che cosa farà?




«Non lo so ancora, forse resterò in polizia perchè, in tutta coscienza, non ho nulla da rimproverarmi».




FULVIO MILONE – LA STAMPA 6 GENNAIO 2003

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