di MARCO DI CATERINO
GIUGLIANO – Le città costruite sul «sottovuoto». Dopo un secolo di crolli, decine di vittime, smottamenti e interi palazzi inghiottiti dalle grotte, il sottosuolo gruviera dei comuni a nord di Napoli continua a cedere e a provocare danni. L’ultimo episodio, domenica mattina a Cardito, dove in via Antico Belvedere, ha ceduto la volta superiore dell’arco di una grotta di tufo, che ha risucchiato il pavimento dell’androne del vecchio palazzo al civico 13. E per dieci nuclei familiari, una quarantina di persone, è arrivata l’ordinanza di sgombero immediato, almeno fino alle verifiche dei tecnici del genio civile.
È solo l’ultimo dramma sfiorato in una storia infinita e a dir poco scandalosa, e tragica per le decine di vittime, l’emergenza sottosuolo dei comuni a nord di Napoli, che si sono sviluppati su quella enorme vena di tufo sotterranea che partendo dai Campi Flegrei prosegue sotto Giugliano, attraversa tutti i comuni dell’area frattese, e poi diramandosi in diversi «bracci» si sviluppa sotto Afragola, Caivano, Cardito, Crispano, Casavatore, Arzano e Casoria, e finisce per sparire nella piana nolana. A rischio i centri storici, quelli per intenderci costruiti tra la fine del 1700 fino a tutti gli anni Cinquanta del ’900, quando le tecniche di costruzione ancora si servivano dello scavo di enormi grotte nella vena di tufo per ricavarne i mattoni con i quali si edificavano gli stabili, proprio sopra le stesse cavità che poi venivano adibite a locali per la conservazione del vino.
E con la scomparsa di queste attività commerciali e il passare delle generazioni si è anche persa anche la mappa che disegna e testimonia questo vuoto di 250 anni, che è ancora qui sotto i nostri piedi, subdolo, dalla dimensioni ancora tutte da definire, e che si sgretola sempre di più. Nonostante i morti e gli ingenti danni al patrimonio abitativo degli ultimi cento anni, e le buone intenzioni elettorali, non è mai stata redatta un’anagrafe seria e rilevata con metodo scientifico delle cavità, delle grotte, dei cunicoli, e dei camini, sui quali si muovono circa ottocentomila persone che vivono in dodici comuni a nord di Napoli.
Una ventina di anni fa, a Frattamaggiore un censimento del «vuoto» fu tentato: agghiacciante il dato finale, con oltre un milione e mezzo di metri cubi di vuoto rilevato in una sola zona del centro storico. E se tanto mi tanto, moltiplicando questa cifra per il numero dei centri storici interessati dal fenomeno, si ottiene la reale dimensione di un disastro ambientale di colossali proporzioni.
Nell’era dei computer e dei satelliti, capaci di fotografare anche lo spostamento di un millimetro del suolo, un milione di persone vive con il rischio quotidiano di essere inghiottito da una voragine o di scappare di notte in pigiama mentre crolla loro la casa. Da anni le associazioni ambientaliste chiedono una legge-quadro sul sottosuolo malato della zona a nord di Napoli, la sua messa in sicurezza e l’opportunità di trasformare l’enorme spazio delle cavità sotterranee in attività produttive con la ripresa dell’attività enologica e l’impianto di mega fungaie.
IL MATTINO 7 GENNAIO 2003