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Detenuto napoletano in fin di vita per un tumore, i familiari: “Ci impediscono di dirgli addio”

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Detenuto in fin di vita per un tumore, ma i giudici rigettano la richiesta dei domiciliari e la famiglia si ribella. Questa la storia di Ciro Rigotti, di Ponticelli. L’uomo, 62enne, fu arrestato nel 2016 nel corso dell’Operazione Delenda che sgominò il clan D’Amico egemone nel rione Conocal di Ponticelli.

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Il processo terminò per tutti nel Luglio del 2017, con rito abbreviato. Cinque assoluzioni, nessun ergastolo, ma un duro colpo per il clan. Tra gli altri condannati c’era anche Ciro Rigotti. Oggi 62enne, Ciro fu condannato a 9 anni per spaccio. Ma la famiglia oggi sta lanciando un appello che va oltre le sbarre, persino oltre le condanne. Rigotti ha iniziato a manifestare dei gravi sintomi nel corso della sua permanenza nel carcere di Poggioreale.

Dopo la visita, il verdetto pareva non essere grave: un tumore all’orecchio benigno, nulla di cui preoccuparsi. Ma un giorno Ciro ha iniziato a perdere sangue. I familiari hanno chiesto risposte e il 16 luglio l’uomo è stato finalmente visitato. Ancora una volta, la risposta è poco grave. “E’ un polipetto, tutto qua”.

Ma da dietro le sbarre Ciro chiede aiuto, non sta bene, e lo sa. Quando viene condotto all’ospedale Cardarelli per una TAC, è troppo tardi. Ha un tumore, e non è benigno. Dall’orecchio si è esteso ovunque, ed è ora su un letto di ospedale, qualificato dai medici come “malato terminale”.  La famiglia vuole dirgli addio, e così, attraverso il loro avvocato, ha presentato un’istanza al giudice affinché Ciro ottenga i domiciliari e possa morire nel proprio letto. Ma l’istanza è stata negata. “I giudici ci stanno negando la possibilità di dirgli addio per sempre, così viene lesa la sua dignità di uomo”, dichiarano i familiari che lanciano un appello.

 

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