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«Devono soldi a molti clan», le parole del pentito che inguaia mister Tufò

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C’è una sfilza di collaboratori di giustizia che hanno tirato in ballo Ciro Capasso, suo figlio Antonio e le altre 22 persone raggiunte da ordinanza di custodia cautelare eseguita due giorni fa dagli uomini della guardia di finanza. Tra questi emergono soprattutto le dichiarazioni di Andrea Lollo (ex broker della droga con il compito di rivendere la cocaina alle cosiddette paranze). E’ stato Lollo a indicare ai magistrati i collegamenti tra i Capasso e alcuni dei maggiori clan camorristici di Napoli e provincia:

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«Ho avuto rapporti con Ciro e Antonio Capasso, padre e figlio, proprietari del ristorante Tufò a Posillipo, preciso che Antonio abita a Posillipo e ha anche una casa a Casoria, so che da ultimo ha trasferito la proprietà del ristorante Tufò ad un prestanome. Ciro Capasso ha collegamenti a Catania sempre per il traffico di cocaina. Nel febbraio del 2015 abbiamo preso 2 chili di cocaina». Lo stesso Lollo ha poi spiegato ai magistrati il ruolo assunto dai due nel traffico di sostanze stupefacenti a Napoli parlando anche della loro ‘assicurazione sulla vita’ ossia i debiti maturati nei confronti di alcuni clan, debito che di fatto li garantirebbe:«Ciro e Antonio Capasso pagano 20mila euro al mese che suddividono tra i vari creditori. Ciro Capasso è l’unico che lavora moltissimo tra Napoli e Campania, nel traffico di stupefacenti senza pagare i clan proprio perchè ha il debito con tanti per questo o paga il debito o paga il pizzo ai clan. Dunque conviene a tutti i clan che Ciro e Antonio Capasso facciano tanti soldi perchè devono dare troppi soldi a troppi clan. Quindi gli lasciano fare liberamente non solo la droga ma anche altre attività commerciali come il ristorante Tufò che hanno aperto a Posillipo: il debito che hanno è la loro assicurazione sulla vita. Se un clan decidesse di ammazzarli e perdere così i soldi che deve avere, gli altri clan gli farebbero la guerra perchè perderebbero i loro soldi. Lo stesso Ciro Capasso mi ha raccontato di questi debiti. Io frequentavo sia il padre che il figlio che con me si confidavano tantissimo. Per esempio quando stavano nella 167 a via Ghisleri ho ascoltato il figlio Antonio che diceva al padre di non far vedere ai clan che pagavano sempre precisamente perchè così gli latri avrebbero capito che i due Capasso lavoravano sempre tanto e dunque avrebbero potuto pretendere un aumento della rata. Invece questi giochetti servivano a mantenere fisso l’importo».

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