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Dal primo crimine a 18 anni al 41 bis: ascesa e caduta di Sandokan

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Francesco Schiavone è ufficiamente un collaboratore di giustizia, o pentito, per usare un termine in voga negli anni in cui Sandokan era libero e a capo del clan dei casalesi.

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Sandokan, non un criminale qualunque

La notizia ha fatto il giro del mondo in poche ore, venendo presa dai media internazionali, perché il pentimento di uno dei più spietati criminali italiani non poteva di certo passare in secondo piano. E poi il soprannome esotico, dettato dalla capigliatura lunga e dalla barba folta in stile Kabir Bedi, aveva portato le sue gesta camorristiche ben fuori dai confini italiani.

Francesco Schiavone, la storia

Una carriera iniziata all’età di 18 anni quando fu trovato in possesso di una pistola, proseguita con la scalata al clan dei casalesi da semplice guardaspalle del boss Umberto Ammaturo e culminata con la conquista della leadership della cosca. Poi l’arresto l’11 luglio del 1998 proprio nel posto in cui pensava di essere al sicuro, un bunker nel cuore di Casal di Principe, dove le forze dell’ordine gli strinsero le manette ai polsi. Da lì la condanna nel processo Spartacus e 26 anni ininterrotti di carcere di cui la stragrade maggioranza trascorsa al 41 bis ed infine la malattia (tumore) che ha preceduto la decisione di diventare un collaboratore di giustizia.

Francesco Schiavone, dalla malattia al pentimento di Sandokan

Tra la malattia e il pentimento, un episodio non passato in secondo piano: la scelta del rito abbreviato nel processo che lo vede imputato per gli omicidi di Luigi e Nicola Diana e Luigi Cantiello. Una scelta mai fatta prima che aveva tracciato la prima linea di discontinuità con il passato.

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