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Il clan dei Casalesi voleva riprendersi le bufale, guai per i fratelli del boss Zagaria

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Il clan dei Casalesi voleva riprendersi le bufale, guai per i fratelli del boss Zagaria. Il Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Napoli ha eseguito a Grazzanise un provvedimento di sequestro preventivo emesso dal GIP del Tribunale di Napoli su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia ed avente ad oggetto un’azienda operante nel settore dell’allevamento di bufali e della produzione di latte crudo, in quanto ritenuta nella diretta disponibilità dei fratelli del “boss” Michele Zagaria, Antonio, classe 62, e Carmine, classe 68,  e da essi utilizzata per favorire gli interessi economici del clan.

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BUFALE PERDUTE

Secondo le indagini del Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata di Napoli, coordinata dalla direzione della Procura Distrettuale, l’azienda sequestrata sarebbe stata impiegata dai fratelli Zagaria. Hanno costruito uno schermo per consentire alla loro famiglia di reimpossessarsi, in maniera occulta e fraudolenta, dell’azienda bufalina di proprietà della madre Raffaela Fontana. Da tempo affidata alla gestione di un amministratore giudiziario in quanto già colpita da diverse misure giudiziarie. Alla realizzazione del disegno illecito avrebbero partecipato anche gli altri due fratelli, Antonio e Fernando Zagaria (solo omonimi in quanto non legati da vincoli di parentela al clan camorristico) i quali hanno messo a disposizione le loro aziende (dapprima Antonio e, successivamente, Fernando avendo il primo deciso nel frattempo di collaborare con la giustizia) per consentire al clan di proseguire nella gestione di un’attività economica particolarmente remunerativa e diffusa su quel territorio, nonostante lo spossessamento della storica azienda di famiglia.

GLI INDIZI

In particolare, dopo aver sostanzialmente esautorato dalle proprie funzioni l’amministratore giudiziario della ditta Fontana Raffaella. A partire dal 2006 i fratelli Carmine e Antonio Zagaria hanno operato una vera e propria co-gestione tra le citate aziende e quella intestata alla madre attraverso diversi indizi. La coincidenza della sede legale e operativa con il conseguente utilizzo promiscuo di gran parte dei locali. Ed anche degli impianti e degli animali presenti nell’azienda sottoposta ad amministrazione giudiziaria. La commistione contabile dei rapporti commerciali con l’unico fornitore, una società operante nel settore dei mangimi. L’unico cliente era una società di produzione casearia che risultavano comuni alle aziende contemporaneamente presenti nello stesso luogo di esercizio dell’attività.

UN PREZZO STRACCIATO PER RIPRENDERSI LE BUFALE

L’ampio ricorso all’interno di tali rapporti ad operazioni di sovra e sotto fatturazione in acquisto e/o in vendita, così da consentire la creazione di liquidità occulta che veniva sistematicamente sottratta dalle casse aziendali per essere messa a disposizione della famiglia ZAGARIA e, quindi, dell’omonimo clan. Il piano predisposto dal boss Zagaria ha consentito di neutralizzare per anni gli effetti delle misure cautelari reali e ablative gravanti alla Fontana Raffaela. Lo scopo era rientrare nella piena disponibilità della quasi totalità dei beni aziendali confiscati alla ditta stessa. Tutto avveniva mediante un acquisto all’asta a prezzo stracciato solo 100.000 euro per subentrare nell’attività. L’azienda sequestra è composta da un appartamento per il custode, stalle, locali per la mungitura, depositi per i mangimi, attrezzature agricole e per la mungitura. Inoltre trovati 350 capi di bestiame dal valore stimato intorno ai 2 milioni di euro.

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