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Il Napoli cade a Roma e porta a termine il naufragio, della squadra campione d’Italia restano ormai le ceneri

roma-napoli 2-0
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“33 anni per cucircelo sul petto, 5 mesi per scucircelo”. Una frase populista che, ormai, da poco più di un mese i nostri occhi sono abituati a leggere e le nostre orecchie a sentire, a ritmi quasi sincronizzati come i rintocchi di un orologio a pendolo ogni mezz’ora. E che, partita dopo partita, sembra assumere sempre di più un contorno e una forma, quasi a diventare tangibile.

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Natale amaro in casa Napoli, questa volta i tre punti volano a Roma

Il Natale sarà amaro in casa Napoli, così come amaro, amarissimo, lo sarà per i suoi tifosi. Il verdetto è dei più tragici: un’ennesima prova scadente, questa volta si perde 2-0 all’Olimpico contro la Roma di José Mourinho, una partita in cui Rui Patricio, portiere giallorosso, mai seriamente è stato impegnato. Sul tabellino lato Napoli, infatti, si leggono appena due tiri in porta per sette totali, e nessuno di essi mai si è rivelato pericoloso e mai è stato capace di creare problemi alla retroguardia romanista.

L’ennesima riprova che, ormai, qualsiasi meccanismo che potesse scoppiare è scoppiato. Ci troviamo di fronte ad un autentico naufragio: una squadra imbarazzante, impaurita, senza orgoglio e che ha offerto un’ennesima vergognosa prestazione ai suoi tifosi, facendo vergognare i suoi tifosi. Una squadra ormai smarrita, senza condottiero, “una nave senza nocchiero” come direbbe Dante nel VI canto del Purgatorio, riflettendo sull’amara situazione politica dell’Italia di allora. Una squadra ormai privata del genio di Spalletti e dei lampi, dei guizzi dei suoi uomini migliori, pennellate che appena qualche mese fa contribuirono a realizzare un capolavoro assoluto, che la città aspettava da 33 anni. Capolavoro di cui oggi non resta di fatto più nulla, se non le ceneri.

Un gruppo festante, unito, vincente e vittorioso, bello davvero. Era tutto perfetto. Fin quando non privi quel gruppo della sua ossatura e quasi tutta d’un fiato: via Spalletti e Giuntoli, e con essi Sinatti, uno dei migliori preparatori atletici operanti sul territorio calcistico nazionale, se non il migliore. Via Kim, Lozano e ora anche Elmas, fresco di firma con il RB Lipsia. Piazzati e mai realmente sostituiti. Natan non è chiaramente all’altezza e non per sua colpa, Cajuste troppo fumoso e Lindstrom spacciato per erede di Lozano ma che erede di Lozano, di fatto, non è per evidenti questioni tecnico-tattiche.

Prima l’azzardo Garcia, un allenatore da anni fuori dal giro e mandato via per i motivi di cui ormai sappiamo, ora Mazzarri, che si sta rivelando l’ombra del tecnico grintoso e sanguigno che fu. Il tecnico toscano è arrivato in corsa per cercare di salvare il salvabile, costretto da sappiamo chi ad essere quello che non è, ad accettare una soluzione tattica che non gli appartiene fingendo, a questo punto, di aver studiato (“Ho studiato, durante la mia inattività, il 4-3-3 di Spalletti alla perfezione”, Mazzarri docet). Cercando di improntare il suo gioco su un possesso palla che appare flebile, sfilacciato, quasi inesistente, che quasi mai arriva alla concretizzazione finale della manovra offensiva e sbattendo, puntualmente, sulle difese avversarie.

Uno Scudetto cucito sul petto che ora sembra un “fantasma”

Uno Scudetto che ci ha messo 33 anni per ricucirsi sulla maglia azzurra, e che unendo tutti i fattori di cui sopra, ci ha messo pochi mesi per esploderci tra le mani. Un presidente che non ha saputo maneggiare con cura il tesoro guadagnato e che non ha ancora capito i suoi errori, o li ha capiti troppo tardi, se si vuol fare riferimento ai suoi ultimi interventi. 

Un presidente che, anziché capitalizzare i guadagni dell’ultimo trionfo per rendere ulteriormente competitiva la squadra, pare voler campare di rendita su quanto realizzato. Una “New Era” che a questo punto, anziché essere vista come l’inizio di un ciclo vincente, sia l’inizio di una serie di passi indietro per recuperare l’umiltà perduta, da parte di tutti, nessuno escluso. Passi indietro che dovrebbe iniziare a fare il presidente, capendo i suoi errori, ammettendo le sue colpe e riunendo tutti per parlare a tutti, cercando di far venire i nodi al pettine anziché parlare contro tutto e tutti. Oggi ci ritroviamo con un gruppo scontento, demotivato e malato, frutto di una gestione scellerata e megalomane della questione post-Scudetto. Uno Scudetto che ora, sulle maglie azzurre, appare di fatto come un fantasma: essenza, ricordo di quello che fu e di quanto bello sia stato.

 

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