Dalle periferie alle piazze, dai teatri ai consultori autogestiti. Un omaggio a Franca Rame nel giorno del suo compleanno. Colei che ha portato la sua arte e la sua militanza nelle piazze e nei teatri del Sud, dando voce a chi troppo spesso è stato invisibilizzato e spezzando silenzi troppo lunghi. Oggi il suo lascito ci interroga: chi sono le nuove voci che raccontano Napoli e il Mezzogiorno?
Franca Rame nasce il 18 luglio 1929 a Milano. Figlia di una famiglia impegnata nel mondo dello spettacolo, cresce tra palcoscenici e lettere, ma presto il teatro diventa per lei qualcosa di più di un mestiere. Una lotta, un’urgenza, un modo per mettere in scena le ingiustizie sociali che vede intorno a sé e che la vedono inclusa come parte lesa.
Pur non essendo originaria del Sud, il Mezzogiorno d’Italia ha accolto e fatto suo il suo grido. Attraverso tournée e spettacoli itineranti, Rame ha portato nelle piazze e nei teatri popolari del Sud storie che in molti volevano mantenere nell’ombra come la violenza di genere, lo sfruttamento lavorativo, il peso opprimente della famiglia tradizionale, la ribellione delle giovani generazioni e di chi vive ai margini.
Non era semplicemente intrattenimento, per lei il palco diventava un tribunale, un confessionale, una piazza aperta alla discussione. Lo faceva con il corpo e con una voce potente. Utilizzava l’arte del teatro come “giustizia poetica”, uno strumento per trasformare un privato nascosto in un atto politico che dava voce a chi spesso non ce l’aveva.
Il Sud degli anni Settanta: una città in fiamme e lei con i suoi spettacoli visionari e rivoluzionari
Nel cuore degli anni Settanta, Napoli bruciava tra crisi economica, disoccupazione crescente e forti tensioni sociali. Le lotte operaie si intrecciavano con quelle politiche e culturali, mentre le piazze diventavano luoghi di conflitto e di speranza.
In questo scenario, Franca Rame portava in scena testi come Lo Stupro (1975), un monologo drammatico che racconta l’esperienza personale di Rame, vittima di uno stupro politico, e denuncia la violenza sessuale e la cultura che colpevolizza le persone colpite. È uno spettacolo forte e commovente, che ha aperto un dibattito pubblico su un tema prima quasi invisibile.
Avanguardia pura, fu con lo spettacolo Grasso è bello! (1979), ironico e provocatorio, che metteva in discussione gli stereotipi legati al corpo e alla bellezza, contro i canoni imposti dalla società. Ancora oggi fortemente attuale.
Le sue parole non venivano dai libri di teoria femminista, ma dai verbali della polizia, dalle storie delle persone che la incontravano e che nei suoi spettacoli trovavano una voce. A Napoli, spesso esclusa dalle narrazioni ufficiali del femminismo nazionale – troppo spesso confinate nei salotti e lontane dalle strade –, quelle parole si trasformavano in carne, rabbia, dolore e speranza.
Un femminismo plurale e intersezionale
Il femminismo nel Sud non è mai stato una forma unica o monolitica. È stato il grido di tante identità, molteplici e intrecciate, ma è stato anche troppo spesso raccontato da chi vedeva il Sud solo come destinatario passivo, mai come protagonista attivo di una storia complessa e sfaccettata.
Franca Rame, al contrario, sapeva ascoltare.
Sapeva che la rivoluzione, per essere vera, doveva farsi portavoce anche di chi non aveva megafoni, di chi viveva ai margini. Così, mentre i grandi centri culturali parlavano di “emancipazione”, lei portava le sue storie nelle piazze e nei paesi dove ancora si moriva per un aborto clandestino, dove persone con identità di genere non conformi venivano rinchiuse e dove si soffocava la libertà.
Ripartire dalle parole e dai corpi
Ricordare Franca Rame oggi non significa solo rendere omaggio a una figura storica, ma rivendicare un femminismo e un attivismo che non abbiano paura di sporcarsi le mani, che entrino nei quartieri popolari, che dicano “io ti credo”
Nel tempo in cui il rischio è che la “sorellanza” resti un ideale confinato nei salotti o nelle bacheche patinate dei social, serve tornare dove si lotta, si cura, si resiste, nelle strade di Napoli, nelle scuole, nei centri sociali, nei consultori. Serve parlare, educare e anche ricordare figure come lei che con la sua arte, attraversava il Sud portando in scena l’urgenza del cambiamento.
Oggi, a più di quarant’anni da quei primi passi coraggiosi, la sfida è quella di non lasciare che quelle voci si perdano nel rumore.
Ricordare Franca Rame significa soprattutto ascoltare con attenzione, non solo la sua voce, ma tutte quelle che ancora oggi si levano dalle periferie, dai quartieri, dalle scuole, dai luoghi nascosti di Napoli e del Sud. Sono voci che raccontano storie di fatica, di resistenza, di speranza mai doma.
La vera rivoluzione parte da lì, dal riconoscere il dolore e la forza di chi lotta, dal mettere al centro le parole e i corpi di tuttə, dalla scelta di credere, di agire, di non voltare lo sguardo.
Perché ogni volta che una persona alza la voce, ogni volta che il silenzio si rompe, si apre uno spazio di libertà per tuttə.
E questo è un lascito che non possiamo permetterci di dimenticare.