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“Io e Biasone sequestrammo un operaio”, il racket del clan Mallardo a Giugliano raccontato dal pentito

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Dichiarazioni di collaboratori di giustizia, intercettazioni telefoniche e ambientali, indagini sullo stato patrimoniale. Grazie a queste serrate attività gli inquirenti sono riusciti a stringere il cerchio su Biagio Vallefuoco, esponente del clan Mallardo, a cui i carabinieri del Nucleo Investigativo di Napoli hanno sequestrato beni per circa un milione di euro. Sotto chiave sono finite quote di Cinque appartamenti. Biagio Vallefuoco, elemento di spicco del clan Mallardo, è detenuto dal 2018. Le indagini non solo hanno accertato che gli appartamenti erano di Vallefuoco ma hanno anche registrato una evidente sproporzione tra il suo tenore di vita e le fonti di reddito ufficiali. Dai pentiti viene indicato col soprannome di Biasone ‘o fesso, per la sua statura. A parlare è Filippo Caracallo (ex pentito oggi defunto): “E’ uno storico affiliato al clan, che percepiva somme mensili a titolo di stipendio criminale.  Lui è entrato a far parte del clan dopo tre o quattro anni dalla mia affiliazione. Lui, all’interno del clan Maliardo, ha inizialmente fatto parte della fazione di via Cumana, sotto la direzione di Raffaele MALLARDO, detto Schicchirocco. In un secondo momento, dopo due/tre anni, è passato nella fazione di Lago Patria sotto la direzione di Ciccarelli Giuseppe e D’Alterio Vincenzo, detto o’ malato, ed è rimasto in quella fazione fino ad adesso. Lui si è sempre occupato solo di estorsioni. Abbiamo commesso numerose estorsioni insieme, in particolare nella zona di Lago Patria, Licoia e Varcaturo, soprattutto nel periodo a partire dal 94/95 quando si costruiva e si edificava molto in quella zona”.

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Si trattava sempre di estorsioni ai danni di imprenditori ed imprese edili che effettuavano lavori edili. “Ricordo, in particolare, delle villette che si stavano costruendo in via Ripuaria erano una quindicina/ventina villette e se non sbagliò la ditta costruttrice era del casertano anche se’ non so indicarne il nome né il nome del titolare. In questa occasione, accaduta credo nel ’96, andammo sul cantiere. Ci recammo con una macchina rubata, credo una Fiat Uno di colore rosso, io e Vallefuoco a viso scoperto ci recammo dagli operai e chiedemmo di Parlare con il responsabile del cantiere. Dopo un paio di giorni io e VAllefuoco fummo chiamati da Vincenzo D’Alterio, detto o’ malato, che ci disse che non dovevamo più andare su quel cantiere perché il proprietario si era rivolto a Salvatore Sestile, nostro affiliato, il cui genero è di Casale, e si era messo a posto con lui. Non so che tipo di accordo abbiano chiuso. Spesso, quando qualcuno di noi del gruppo che stava sulla zona di Lago Patria doveva essere chiamato. All’inizio del 2016 andammo a fermare la ditta che stava rifacendo l’asfalto sulla strada che contorna il Lago Patria.  lo e VALLEFUOCO indossammo cappellini ed occhiali, ci avvicinammo a piedi al cantiere e prendemmo con la forza un operaio quasi sequestrandolo chiedendogli dove fosse il proprietario e se la ditta era dell’antiracket. L’operaio ci disse che la ditta era “amica degli amici’ e ci indicò il proprietario che stava spostando un camion. Allora lasciammo l’operaio e ci dirigemmo verso il proprietario che scese dal camion un poco spavaldo per cui noi lo aggredimmo verbalmente dicendogli che si doveva mettere a posto con gli amici del Lago Patria. Lui disse che stava sotto inchiesta per favoreggiamento con un clan del casertano (di Casapesenna o Casaluce) per cui aveva preferito aspettare la nostra visita. Ci disse che stava a disposizione e che avrebbe pagato”. 

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