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La strage nel carcere di Poggioreale, il terremoto del 23 novembre del 1980 cambiò per sempre la storia della camorra

23 novembre del 1980 cutolo
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Una data storica quella del 23 novembre del 1980. Da allora nulla è stato più come prima in Campania, sia a livello politico che criminale. Il terremoto fece saltare tutti gli equilibri, anche nella camorra napoletana. “Quest’occasione ce l’ha mandata il Padreterno”: questa la celebre frase che pronunciò Ben Gazzara, l’attore che recitò la parte di Raffaele Cutolo nel famosissimo film ‘Il Camorrista’ di Giuseppe Tornatore, nella scena del terremoto girata all’interno del carcere di Poggioreale.

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Cutolo in quel tempo era un boss in ascesa. Con un patto di sangue aveva reclutato decine di affiliati proprio all’interno dei penitenziari dove era stato detenuto e dichiarato guerra all’altra organizzazione potente che in quel tempo comandava a Napoli: la Nuova Famiglia. Una guerra spietata, senza sconti. I morti si contavano ogni giorno, anche più di uno in 24 ore. Botta e risposta continui tra le due fazioni in lotta per il controllo degli affari illeciti: racket, droga, usura. A questi si aggiunse il business più appetitoso: la gestione degli appalti post terremoto.

Cutolo capì immediatamente che quell’occasione “l’aveva creata il Padreterno” e durante la terribile scossa del 23 novembre 1980 diede ordine ai suoi affiliati di uccidere all’interno del carcere di Poggioreale.

Nel corso dell’udienza del 14 novembre del 1989, come riportato da Giancarlo Tommasone su Stylo24, il boss della Nuova camorra organizzata, Raffaele Cutolo viene sentito nell’ambito del processo per la cosiddetta strage di Poggioreale. I delitti furono favoriti dalla confusione e dal panico innescati dal sisma. Le celle furono aperte e si ritrovarono di fronte, anche esponenti della Nco e della Nuova famiglia, acerrimi nemici tra loro. Alla fine degli scontri si contarono tre morti: Michele CasilloAntonio Palmieri e Giuseppe Clemente. Raffaele Cutolo viene interrogato dopo la deposizione resa dal collaboratore di giustizia Pasquale D’Amico (alias ’o cartunaro, ex santista della Nco), e le parole del padrino di Ottaviano spiazzano le persone presenti in aula.

L’ammissione di colpevolezza del padrino di Ottaviano

«Signor presidente, mi sento a disagio davanti a questa Corte. Nel senso che, non posso e non voglio mentire, quindi voglio dire che sono colpevole», afferma il boss. Che continua: «Anche se, io sono stato costretto a uccidere queste persone». Cutolo, va detto per dovere di cronaca, è accusato, del solo omicidio di Michele Casillo. «Ci racconti come andarono i fatti», afferma il presidente della Corte. «Comunque, non sono coinvolto solo io», tiene a precisare il boss, e il magistrato ribatte: «Certo, 84 coltellate (si riferisce ai fendenti inflitti a Casillo, ndr)»«Non lo so quante coltellate sono, questo lo dice l’autopsia – risponde Cutolo –. Io stavo rientrando nella mia cella insieme a Catapano (Raffaele, ndr) quanto ho visto questo Casillo che ha aggredito Catapano. Lo ha colpito con una martellata, o con un arnese da muratore, il mio compagno è diventato subito una maschera di sangue, al che io sono intervenuto per dividere i due. Casillo a questo punto ha aggredito anche me e io gli ho sferrato due coltellate».

Il terremoto nell’inferno di Poggioreale

«Ma lei si trovava con un coltello… per caso?», domanda il giudice. «No, questo è ridicolo… mica ce l’avevo per caso, il coltello, io ce l’avevo proprio. Era un coltello a scatto. In quegli anni, gli anni miei, era così, pure perché da quando è nato il carcere è nato il coltello», dice il boss di Ottaviano. «Io non lo conoscevo questo Casillo – sottolinea Cutolo –, nemmeno di nome, solo che in quel momento potevo avere davanti anche un mio parente, mi stavo difendendo. Casillo mi colpì al braccio e io reagii. Dopo averlo accoltellato, Casillo cadde a terra. Allora, io soccorsi Catapano e lo portai nel reparto dove stavo io»«E tutte le altre coltellate? Lei non sa cosa è successo dopo?», chiede il presidente della Corte.

L’omicidio di Giuseppe Salvia

A gestire la complicata situazione in cui verte Poggioreale è Giuseppe Salvia, giovane vicedirettore del carcere e responsabile del settore di massima sicurezza. Proprio il settore in cui è detenuto il boss mafioso. Ligio al suo lavoro, Salvia sta indagando anche sui massacri avvenuti dopo le scosse di terremoto ed è convinto che le regole valgano per tutti, senza alcuna distinzione. Filosofia che non si sposa con l’attitudine di Cutolo che in quell’eccesso di zelo del funzionario ritrova un insopportabile insulto al suo prestigio di camorrista potente fuori e dentro le carceri.

Proprio in uno dei controlli della cella del camorrista scoppia una lite tra Salvia e il boss, che si conclude con uno schiaffo da parte di Cutolo e con una minaccia di morte nei confronti del vicedirettore. Una minaccia che trova il suo compimento il 14 aprile 1981, mentre il funzionario sta tornando a casa, in via Pigna. Salvia percorre la Tangenziale a bordo della sua auto, quando viene tamponato da un’Alfa Romeo Giulietta che lo stringe contro il guard-rail. Dopo un disperato tentativo di fuga, il killer riesce a raggiungerlo sparandogli alla tempia e infierendo sul corpo, ormai cadavere, altre cinque volte a colpi di pistola. Dopo poco tempo, gli inquirenti risalgono al nome di Cutolo, identificato come mandante dell’omicidio del vicedirettore di Poggioreale che doveva pagare con la vita il proprio atteggiamento intransigente.

 

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