I rapporti tra la camorra e Messina Denaro
Il fedelissimo del boss era già stato arrestato per avere “prestato” l’identità al boss latitante che, per mesi sarebbe andato in giro con i suoi documenti. Di lui aveva parlato anche il collaboratore di giustizia Salvatore Grigoli. Lo aveva indicato come uomo di fiducia del capomafia trapanese che a Bagheria e dintorni ha trascorso una parte della sua latitanza, all’inizio degli anni Novanta.
Nel 2018, nell’nell’ambito dell’inchiesta ‘Revolutionbet 2’ della Procura di Catania su mafia e scommesse online, vennero arrestati soggetti legati sia a Matteo Messina Denaro, tra cui il nipote, sia persone riconducibili alla ‘famiglia’ camorristica dei Nuvoletta di Marano.
I rapporti con i Casalesi
Forti erano anche i rapporti tra i Casalesi e la mafia siciliana, quindi anche con Messija Denaro. Nel 2019 emerse secondo il pentito Emanuele Merenda che Matteo Messina Denaro avrebbe trovato rifugio anche in Veneto. E sarebbe stato ospite di un palermitano coinvolto nell’inchiesta della Dda di Venezia sulle infiltrazioni dei Casalesi ad Ercalea. Il “capo dei capi” sarebbe stato ospitato in una cantina del comune del Trevigiano. All’epoca delle dichiarazioni l’avvocato del soggetto coinvolto aveva definito le dichiarazioni di Merenda “prive di alcun riscontro, data anche la recente pronuncia del Tribunale collegiale di Pordenone che lo ha di fatto ritenuto inattendibile” e sostenuto che il suo cliente “non ha mai ospitato, né in alcun modo favorito, la latitanza di alcun boss di associazioni a delinquere”; per il legale si sarebbe trattato di false accuse motivate da vecchi rancori nei confronti del suo cliente. In diversi blitz sono comunque emersi gli interessi comuni tra i due clan, a partire dagli investimenti nel campo dell’agroalimentare, dei trasporti e dell’edilizia.
L’esistenza della super cupola
Nel gennaio 2015 il collaboratore di giustizia Antonino Fiume, parlando nell’ambito del processo ’Ndrangheta stragista, raccontò dell’esistenza di una super-cupola con sede a Milano, un «consorzio» di cui facevano parte i vertici di ’Ndrangheta, camorra, Sacra corona unita e ambienti riconducibili a Cosa nostra (anche della corrente del capo dei capi Totò Riina e quindi dei corleonesi).
In quel processo parlò anche un altro super-pentito di Cosa nostra, Giovanni Brusca. Secondo quest’ultimo la mafia diede l’incarico a Matteo Messina Denaro di convincere la camorra e, in maniera specifica i Nuvoletta di Marano (affiliati a Cosa nostra, ndr) a partecipare al progetto stragista contro lo Stato, poi portato a termine con gli attentati ai danni dei giudici Falcone e Borsellino.