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Napoli “friggitoria a cielo aperto”, il Comune studia un piano per salvaguardare il Centro Storico

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Tra i dati sulle presenze turistiche, in crescita, e quelli sulle ricadute, non proporzionali, sulle attività commerciali ce n’è uno che sintetizza l’apparente contraddizione. La fonte anche in questo caso è Confcommercio. In provincia di Napoli dal 2018 ad oggi, il numero delle imprese commerciali al dettaglio è rimasto sostanzialmente stabile (intorno a quota 69 mila). Mentre le attività di ristorazione in senso lato sono aumentate in maniera significativa. Si è passati, infatti, dalle 18.155 del 2018 alle 19.957 del 2022.

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L‘incremento riguarda non solo i ristoranti intesi in senso tradizionale. Ma anche e soprattutto i bar, i fast food, le rosticcerie, le friggitorie, le pasticcerie e le gelaterie. Ed è tanto più significativo perché è maturato in un quadriennio che ha incluso i due anni orribili della pandemia. Napoli e, in particolare, alcune zone come il Centro storico sono diventate sempre più delle friggitorie a cielo aperto. La proliferazione di locali di ristorazione veloce, in risposta alla crescente domanda di pasti veloci ed economici fuori casa (cd ‘street food’), rischia di snaturare l’identità stessa di alcuni luoghi.

“Il centro storico non è un luna park”

Il problema si manifesta ora in tutta la sua travolgente evidenza. Ma le radici sono lontane. Il primo ad avvertire la necessità di porre un limite alla crescita indiscriminata di determinate attività di somministrazione di cibi e bevande, non arginata dalle norme sulle liberalizzazione delle licenze commerciali, è stato Nino Daniele, assessore alla Cultura, fino al 2019, dell’amministrazione comunale guidata da Luigi de Magistris. Il suo pensiero si può sintetizzare nello slogan coniato all’epoca: “Più cultura e meno frittura“.

Ricorda ora: “Stavamo vivendo un periodo di espansione turistica, successivo ad anni catastrofici nei quali il brand Napoli si era praticamente azzerato. Proprio in quel momento iniziarono dunque a manifestarsi problemi di crescita fino ad allora sconosciuti. Che ci proponemmo di affrontare insieme ad altre città come Roma e Firenze che già avevano vissuto esperienze simili. Poi io lasciai la giunta (nell’ambito di un rimpasto de Magistris preferì sostituirlo, suscitando meraviglia e indignazione anche tra gli oppositori, ndr ) e arrivò la pandemia che di fatto ha congelato la situazione. Ma è evidente che ora il problema si ripropone con urgenza: il richiamo del Centro storico di Napoli consiste nella complessità che lo rende unico. Non lo si può ridurre a un luna park. La sfida della quantità e delle presenze è stata vinta, ma ora, se non si lavora sulla qualità, si corre il rischio nel medio periodo di tornare indietro. La strategia post pandemia non può dunque essere più quella della sola ripresa“.

Napoli, “friggitoria a cielo aperto”

Il problema è stato avvertito anche dalla nuova amministrazione guidata da Gaetano Manfredi. Più volte il sindaco nel corso della campagna elettorale e nei momenti successivi all’elezione ha enunciato la volontà di impedire che Napoli continui ad essere una “friggitoria a cielo aperto”. Nello scorso giugno il primo cittadino annunciò che il Comune lavorava a un piano da condividere con il ministero dei beni culturali per vincolare a determinati temi il rilascio di nuove licenze commerciali in alcune strade. Come riportato dal Corriere del Mezzogiorno il sindaco spiegò che si trattava di un piano da sottoporre al ministero della Cultura per vincolare le attività commerciali di alcune strade così da arginare fenomeni di turistificazione selvaggia, da attuare nel più ampio piano di recupero del centro storico Unesco.

Anche lo stesso presidente di Confcommercio Napoli, Massimo Di Porzio, subito dopo la sua elezione, ha sollecitato l’amministrazione a salvaguardare “il tessuto commerciale storico nonché il decoro urbanistico ed architettonico del centro antico, adottando il sistema di programmazione delle attività commerciali nell’area Unesco, tramite un’intesa tra Comune, Regione e Sovrintendenza, come già realizzato a Genova nel 2020, in modo da subordinare ad autorizzazione e non a Scia l’esercizio delle attività individuate come non compatibili con le esigenze di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale“. Da palazzo San Giacomo si conferma l’intenzione di procedere in questa direzione. Mentre il problema diventa sempre più urgente.

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