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Omicidio a Cardito, il pentito del Parco Verde parla di un presunto testimone: “Era biondino e bassino”

Omicidio Iavarone, parla il pentito del Parco Verde: "C'era un testimone"
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Un testimone avrebbe assistito all’omicidio di Mattia Iavarone, uomo di punta del clan del Parco Verde di Caivano. Il cadavere del 36enne venne ritrovato in un’auto lo scorso 25 aprile del 2014 e subito gli inquirenti decisero di seguire la pista camorristica. Infatti il 36enne era imparentato con Rosa Amato, detta ‘a Terrorista, che secondo le recenti indagini avrebbe gestito una delle piazze di spaccio più floride del Parco Verde. Gli agenti di polizia e i militari dei carabinieri trovarono il corpo del giovane crivellato dai colpi di una calibro 9 in via San Paolo a Cardito.

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OMICIDIO IAVARONE, PARLA IL PENTITO DEL CLAN DEL PARCO VERDE

A distanza di oltre 8 anni è stato il collaboratore di giustizia Maria Alberto Vasapollo a svelare alcuni retroscena dell’omicidio ai pubblici ministeri della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, dunque le nuove rivelazioni saranno vagliate dalla Procura di Napoli. «Il giorno che Iavarone è stato ucciso noi del clan ci siamo riuniti e ci siamo armati pronti ad agire e gli unici che non erano presenti Parco Verde erano Solimene e Amaro, circostanza questa che ci sembrò strana considerato che erano proprio coloro che stavano comandando. In quel frangente Ciro Lobascio, attuale collaboratore di giustizia, ci venne a dire che lui si era recato sul luogo dell’omicidio ed aveva parlato con una persona che aveva assistito all’omicidio – fuori ad un bar – e che gli aveva detto di aver visto una persona scendere dalla macchina di Iavarone subito prima che questi venisse ucciso. E dalla descrizione che la testimone aveva dato di questa persona a Lobascio, ovvero un “biondino e bassino’ abbiamo pensato che si trattasse di Emilio Solimene», ha dichiarato il pentito in un verbale rilasciato lo scorso ottobre ai magistrati della Procura.

L’ALTRO PENTITO

Mattia Iavarone era diventato scomodo all’interno del clan. Dopo la morte di Aniello Ambrosio (leggi qui l’articolo precedente) il ‘facente funzioni’ della mala del Parco Verde di Caivano si sarebbe montato la testa. A riferirlo ai magistrati Antonio Cocci è stato il neo collaboratore di giustizia che sta svelando fatti e misfatti della mala dell’hinterland partenopeo. Cocci, nello specifico, nei suoi ultimi verbali ha spiegato ai magistrati l’origine della ‘faida delle auto bruciate’ nata da uno scontro interno ai gruppi che un tempo gravitavano tutti sotto l’egida dei Moccia.

Dopo la morte di Modestino Pellino e l’uccisione di Aniello Ambrosio, Mattia Iavarone avrebbe consolidato il suo potere ma l’avrebbe fatto senza una gestione ‘illuminata’ come riferito dallo stesso Cocci: «Dopo quell’omicidio se n’è andato di testa, non si poteva mantenere proprio più, diceva che lui se ne andava in giro ad uccidere la gente con la mazzola. Giustamente in quella vita se uno parla delle cose che sono state fatte sei pericoloso, perché poi fondamentalmente Mattia faceva il carrozziere, era un bravo ragazzo, dopo quella cosa ha preso il volo, era diventato pericoloso, anche da noi era diventato pericoloso a fare le cose brutte pure al Parco Verde. A me si è preso la piazza mia, la piazza d’erba, ha detto: ‘La piazza mò è la mia, tu… quando esce Tonino se ne parla’. Ha buttato i soldi in faccia al figlio di Ciccarelli Domenico, a Ciro, e gli ha detto: «’e i Ciccarelli non vi hanno cacciato dalle case dovete ringraziare a me’. Quindi era diventato scomodo lavarone. Dopo quell’uccisione (di Ambrosio ndr) lui si credeva sopra tutti».

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