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Omicidio di Laura Ziliani: ergastolo per le due figlie e il loro complice

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I giudici della Corte d’Assise di Brescia in merito all’omicidio di Laura Ziliani, hanno emesso la sentenza.

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La dura pena per l’omicidio di Laura Ziliani 

Dopo due anni dall’omicidio di Laura Ziliani i giudici della Corte d’Assise di Brescia, dichiarano colpevoli le due figlie della donna, Silvia e Paola Zani e il loro complice Mirto Milani. Condannati  alll‘ergastolo e sei mesi di isolamento. 

Gli eventi risalgono alla notte tra il 7 e l’8 maggio 2021 a Temù nel bresciano. Il corpo della donna venne occultato e ritrovato in stato di decoposizione solo tre mesi dopo grazie all’avvistamento da parte di un bambino presso una pista ciclabile di Temù. La donna, oramai non più riconoscibile per il volto, indossava solo una canotta e degli slip, abbigliamento non coincidente con quello descritto dalle figlie. Grazie però a degli orecchini d’oro e ad una cisti sul piede destro fu possibile decretare l’identità della salma. A confermare, in seguito, che quello fosse il corpo di Laura Ziliani, il test del DNA. Il medico legale nell’autopsia non aveva riscontrato lesioni esterne e tracce compatibili con una lunga permanenza in acqua. Da ciò si giunse alla conclusione che il cadavere si trovasse precedentemente in un luogo che per le sue caratteristiche aveva rallentato il processo di decomposizione.

L’esclusione della morte naturale

Dopo gli accertamenti tossicologici i medici avevano riscontrato la presenza di benzodiazepine nel copro di Laura Ziliani. Il rinvenimento di tali tracce biologiche ha consentito di escludere l’ipotesi di una morte naturale. Qui il momento della svolta con la teoria, rivelatasi poi veritiera, di avvelenamento. Dopo averle somministrato attraverso una tisana la sostanza, le facoltà di difesa di Laura Ziliani erano inesistenti di consegunza idonee per gli assassini al fine di compiere l’omicidio. Prove schiaccianti fanno capo al ritrovamento del flacone contenente la sostanza a casa di Mirto Milani, insieme al quale vivevano le figlie della vittima e, alla possibilità che Silvia Zani aveva di procurarsi il farmaco grazie al suo lavoro, conoscendo, quindi, concretamente gli effetti che avrebbe provocato sulla madre.

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