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“Non vide che il fucile aveva la sicura”, l’omicidio dei Polverino svelato dal boss-pentito

Giuseppe Simioli, Raffaele D'Alterio, Giuseppe Ruggiero, Salvatore Licciardi
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Un favore tra clan di camorra dell’area nord di Napoli per costringere un pentito a ritrattare le sue confessioni ai magistrati. Proprio con queste premesse sarebbe nato l’omicidio di Tammaro Solli, ritrovato morto il 22 gennaio del 1998 nei pressi della Rotonda Maradona di Villaricca. Fondamentali per la ricostruzione dell’agguato sono state le recenti dichiarazioni del collaboratore di giustizia di Giuseppe Simioli. Proprio l’ex braccio destro di Giuseppe Polverino e reggente del clan dal 2011 al 2017, detto ‘o Petruocelo, avrebbe svelato importanti dettagli alla luce della sua partecipazione diretta all’azione camorristica.

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UN FAVORE AL CLAN DI QUALIANO: L’OMICIDIO SOLLI

La prima pista per gli inquirenti venne fornita dalla moglie di Solli che dichiarò di essere la cugina del collaboratore di giustizia Salvatore Speranza, alias ‘o sergente. Inoltre la donna spiegò di aver ricevuto la visita di un affiliato del clan Pianese, guidato dal capoclan Nicola detto ‘o mussuto.

Le recenti indagini coordinate dalla Dda di Napoli hanno accertato il movente dell’omicidio: costringere Speranza, parente della vittima e collaboratore di giustizia, a ritrattare le dichiarazioni rese fino in quel momento. Dunque l’azione di fuoco sarebbe stata condotta per fare un favore agli esponenti del clan Pianese-D’Alterio. 

Secondo i pm il commando armato era formato Giuseppe Ruggiero, Raffaele D’Alterio e Giuseppe Simioli mentre Salvatore Liccardi avrebbe occultato la loro l’auto. L’Alfa rubata sarebbe stata guidata dall’ex boss del clan Polverino e le armi dei killer furono immediatamente nascoste all’interno di un box a Quarto.

LE NUOVE DICHIARAZIONI SIMIOLI

Sin dal primo interrogatorio del 23 marzo 2021, Simioli si è autoaccusato dell’omicidio Solli indicando anche i suoi complici, soprattutto, nel verbale del 6 aprile ‘o Petruocelo ha parlato sull’agguato. Dunque l’ex reggente della mala maranese avrebbe guidato l’Alfa sulla quale avrebbero viaggiato anche D’Alterio e Ruggiero. L’obiettivo dei killer fu individuato, dopo diversi sopralluoghi, a bordo di una Renault 5 che venne colpita da numerosi colpi d’arma da fuoco.

Ruggiero avrebbe dovuto sparare il primo colpo con un fucile da caccia ma non si sarebbe accorto di avere lasciato la sicura inserita. Subito sarebbe intervenuto D’Alterio con la pistola, dopodiché, avrebbe accertato la morte di Solli. Successivamente si sarebbero recati in un box situato nella 167 di Quarto dove li avrebbe aspettato Licciardi. Qui i complici avrebbero ripulito l’auto e preso una vettura diversa, già pronta, infine Simioli avrebbe accompagnato i complici a casa.

IL RACCONTO DI GIUSEPPE SIMIOLI

Le parole di Simioli sono state riportate nell’ultima ordinanza firmata dal gip Maria Laura Ciollaro. “Il giorno dell’omicidio incrociammo l’auto sulla strada per Qualiano in senso di marcia opposto a quello nostro. Invertimmo, quindi, la marcia e ci ponemmo al suo inseguimento: affiancammo la vettura della vittima che stava dirigendosi a Quarto e iniziò l’azione di fuoco. lo conducevo l’autovettura, un’Alfa 33 rubata, di colore scuro o verde o blu, a sparare furono Raffaele D’Alterio che aveva una pistola a tamburo e Giuseppe Ruggiero che sedeva dietro, e che utilizzò un fucile da caccia. Se non ricordo male, proprio Ruggiero nell’atto di esplodere il primo colpo non si avvide che il fucile aveva la sicura, per cui lo sollecitammo a rimuoverla: ad ogni modo il Ruggiero poi sparò. Quasi contemporaneamente anche D’Alterio sparò con la pistola diversi colpi.

L’autovettura della vittima sbandò e finì contro un ostacolo interrompendo al sua marcia; ricordo che D’Alterio scese dall’Alfa per verificare che la vittima fosse morta. Non ricordo in questo momento se D’Alterio quando scese gli diede il ‘colpo di grazia’ Immediatamente dopo ci recammo a Quarto in un garage nelle palazzine, se non erro si tratta della 167 di Quarto, dove posammo armi e macchina e dove avevamo una vettura pulita”.

“TRE COSE ERANO CERTE”

“Ricordo ancora che uno tra Giuseppe Ruggiero e Raffaele D’Alterio aveva effettuato un sopralluogo presso il box e quindi sapeva benissimo dove ci saremo dovuti
recare. Ad attenderci all’ingresso delle palazzine c’era Salvatore Liccardi detto pataniello che immagino sapesse che avevamo appena commesso l’omicidio, anche se io personalmente con lui non ne ha mai parlato. Tre cose sono certe però:
Licciardi non abitava in quella zona, quando arrivammo nella zona notai che la serranda del box era già sollevala e che lui era presente proprio all’ingresso della 167 e poi ci raggiunse nei pressi del box, salutandoci appena. Entrammo nel box predisposto e posammo l’auto utilizzata per l’omicidio dopo averla parzialmente ripulita dalie nostre
impronte, mentre la macchina con la quale riallontanammo era già pronta fuori dal box. Ricordo che guidavo io: accompagnai D’Alterio e Ruggiero presso le rispettive abitazioni ed anche io mi allontanai. Tutti e tre sparimmo, come avveniva normalmente, per svariati giorni. Seppi successivamente che l’auto e le armi utilizziate erano state
fatte sparire ma non so da chi né come”.

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