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“Per quella canzone non sono più andato in Rai e Canale 5”, lo sfogo di Federico Salvatore

La morte di Federico Salvatore ha colpito molti fan e appassionati della sua ironia, infatti, ricordano le sue canzoni come Azz,
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La morte di Federico Salvatore ha colpito fan e tutti quelli ricordano le sue canzoni ironiche come Azz, Incidente in Paradiso e Ninna Nanna. Il talento musi-comico del cantante fu lanciato nello show di Maurizio Costanzo nel 1994 e fu proprio quella vetrina che gli permise di vendere 700mila copie aggiudicandosi due dischi di platino proprio con il brano Azz.

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Salvatore iniziò la sua maturazione artistica con l’esperienza a Sanremo, datata 1996, quando portò sul palco dell’Ariston Sulla PortaLa canzone affrontò il tema dell’omosessualità immaginando la confessione di un figlio alla mamma prima di fuggire con l’amato.

DALL’IRONIA ALL’INVETTIVA DI FEDERICO SALVATORE

La svolta autoriale di Federico Salvatore avvenne nel 2002 con la pubblicazione dell’album L’osceno del Villaggio nel quale inserì la traccia Se io fossi San Gennaro. L’ironia dell’artista sembrò lasciare spazio all’invettiva contro alcuni artisti, politici, imprenditori e napoletani che, secondo lui, avrebbero abbandonato o deturpato la città partenopea.

Due anni fa il cantante parlò dell’ostruzionismo subito dalle reti televisive nazionali attraverso un video pubblicato su Youtube: “Per quella canzone io non sono più andato né alla Rai né a Canale 5. La fonte di ispirazione fu Giorgio Gaber che scrisse Io se fossi Dio e allora io scritto Se io fossi San Gennaro.

IL TESTO DI SE IO FOSSI SAN GENNARO

Se io fossi san Gennaro non sarei così leggero
Con i miei napoletani io m’incazzerei davvero
Come l’oste fa i conti dopo tanto fallimento
Senza troppi complimenti sarei cinico e violento
Vorrei dire al costruttore del centro direzionale

Che ci può solo pisciare perché ha fatto un orinale
Grattacieli di dolore un infarto nella storia
Forse è solo un costruttore che ha perduto la memoria
Nei meandri dei quartieri di madonne e di sirene
Paraboliche ed antenne sono aghi nelle vene
E nei vicoli dei chiostri di pastori e vecchi santi
Le finestre anodizzate sono schiaffi ai monumenti

È come sputare in faccia ai D’angiò, agli Aragona
Cancellare via le tracce di una Napoli padrona
È lo sforzo di cagare dell’ignobile pappone
Sulle perle date ai porci da Don Carlo di Borbone
È perciò che mi accaloro coi politici nascosti
Perché solamente loro sono i veri camorristi
A cui Napoli da sempre ha pagato la tangente
E qualcuno l’ha incassata con il sangue della gente

E per certi culi grossi il traguardo è la poltrona
E per noi poveri fessi basta solo un Maradona
E il miracolo richiesto di quel sangue rosso chiaro
Lo sa solo Gesù Cristo che quel sangue è sangue amaro
Lo sa il Cristo ch’è velato di vergogna e di mistero
Da quel nobile alchimista principe di Sansevero
E con lui lo sa Virgilio il sincero Sannazzaro

Giambattista della Porta che il colpevole è il denaro
E nessuno dice basta per il culto della festa
E di Napoli che resta sotto gli occhi del turista
Via i vecchi marciapiedi che hanno raccontato molto
Pietre laviche e lastroni seppelliamoli d’asfalto
L’appalto

Ma non posso più accettare l’etichetta provinciale
E una Napoli che ruba in ogni telegiornale
Di una Napoli che puzza di ragù, di malavita
DI spaghetti cocaina e di pizza margherita

Di una Napoli abusiva paradiso artificiale
Con il sogno ricorrente di fuggire e di emigrare
E di un popolo che a scuola ha creato nuovi corsi
E la cattedra che insegna qual è l’arte di arrangiarsi
Io non posso piu’ accettare l’etichetta di terrone
E il proverbio che ogni figlio è nu bello scarrafone
E mi rode che Forcella è la kasba del furbone

Che ti scambia con il pacco uno stereo col mattone
Se io fossi San Gennaro giuro che vomiterei
La mia rabbia dal Vesuvio, farei peggio di Pompei
E poiché c’ho preso gusto con la scusa del santone
Io ritengo che sia giusto fare pure qualche nome

Chiederei a Pino Daniele che fine ha fatto terra mia
Siamo lazzari felici quanno chiove ‘a pecundria
Napule è ‘na carta sporca Napule è mille paure
Ma pe’ chhiste viche nire so’ passate ‘sti ccriature
Da Pontano a Paisiello Giulio, Cesare Cortese
Da Basile a Totonno Petito fino a Benedetto Croce
Da Di Giacomo a Viviani poi Caruso coi Parisi
Da Totò ai De Filippo fino a Massimo Troisi

C’è passato Genovesi e Leopardi con orgoglio
La romantica Matilde e il mattino di Scarfoglio
Filangieri Cardarelli tutto l’oro di Marotta
C’è passata la madonna che ora vedi a Piedigrotta
Un Luciano De Crescenzo, Bellavista di Milano
E Sofia che da Pozzuoli oggi parla americano
Un Roberto De Simone che le ha preso pure il cuore
Ora cerca di sfruttarala Federico Salvatore

Ma non posso tollerare chi si arroga poi il diritto
Di cambiare e trasformare tutto ciò che è stato fatto
Di chi vuol tagliar la corda con la vecchia tradizione
Di chi ha messo nella merda la cultura e la canzone
Io non posso sopportare che un signore nato a Foggia
Porta Napoli nel mondo e la stampa lo incoraggia

E che il critico ha concesso al neomelodico l’evento
Di buttare in fondo al cesso Napoli del novecento
Perché ancora io ci credo e mi incazzo ve lo giuro
Che Posillipo e Toledo li divide un vecchio muro
Come quello di Berlino che ci spacca in due metà
Uno è figlio ‘e bucchino l’altro è figlio di papà

Se io fossi San Gennaro giuro che mi vestirei
Pulcinella, Che Guevara e dal cielo scenderei
Per gridare alla mia gente tutto ciò che mi fa male
E finire da innocente pure io a Poggioreale
Perché come Gennarino sono vecchio in fondo al cuore

E il mio canto cittadino non farà certo rumore
Io ho capito che la vita è solo un viaggio di ritorno
Che domani è già finito e che ieri è un nuovo giorno
Sembra un gioco di parole ma mi sento più sicuro
Coi progetti del passato e i ricordi del futuro
E alla fine del mio viaggio chiedo a Napoli perdono
Se ho cercato con coraggio di restare come sono

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