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Salvatore Parolisi parla dopo tanti anni: “Non ho ucciso Melania, lei era mammona e io la tradivo”

Salvatore Parolisi,
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“Se trovassi un lavoro potrei uscire, ma chi me lo dà un lavoro quanto sentono il mio nome e cognome, scappano, fanno il deserto”. Lo ha detto Salvatore Parolisi, in permesso premio dal carcere di Bollate dove è recluso dopo la condanna a 20 anni di carcere per aver ucciso sua moglie Melania Rea, in una intervista esclusiva a “Chi l’ha visto?”, in onda questa sera su Rai 3.

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“Mi hanno dato 12 ore di permesso dopo 12 anni”, ha detto Parolisi parlando per la prima volta dopo al condanna e spiegando di aver “tradito Melania più volte ma non l’ho uccisa. E con Ludovica era una solo una scappatella”.

Parolisi ha già scontato 12 anni, può ora usufruire dei permessi giornalieri. La famiglia Rea continua a combattere contro la possibilità che il militare possa ottenere uno sconto di pena o permessi premio.

Né sul fronte della colpevolezza: «Lo ripeto ancora una volta, sono innocente: non ho ucciso io Melania». Né sul fronte della sua immagine di macho. Non solo perché non si presenta come un uomo disperato, piegato da 12 anni di reclusione, ma perché si ripropone come il classico maschio alfa, con piglio sbruffone, che non poteva non tradire: «L’ho tradita mille volte, anche 4 anni con una francese, perché mia moglie mi lasciava solo ed era una mammona. Voleva addirittura dormire con la madre invece che con me». Poi il solito refrain: «Tradire qualcuno non significa essere un assassino. Io non l’ho ammazzata e invece adesso la gente ha mille pregiudizi nei miei confronti. Se trovassi un lavoro potrei uscire, ma chi me lo dà un lavoro? Quando sentono il mio nome e cognome fanno il deserto».

Parole che inevitabilmente fanno soffrire e indignare la famiglia di Melania. «Insiste ancora con questa pagliacciata che non ha ammazzato mia figlia – stigmatizza la mamma, Vittoria, 68 anni –. Quando venne arrestato disse che non vedeva l’ora di uscire dal carcere per trovare l’assassino di Melania. Voglio proprio vedere se lo trova. Si dovrebbe vergognare: è stato giudicato colpevole da tre gradi di giudizio».

Detenuto nella prigione modello di Bollate, l’ex caporalmaggiore dell’Esercito, sta scontando una pena di 20 anni per omicidio pluriaggravato. A tanto è stato condannato in Cassazione nel 2016, ma in realtà, in virtù della buona condotta, tra quattro anni potrà uscire definitivamente dalla sua cella. In primo grado era stato condannato all’ergastolo, nonostante il rito abbreviato, perché il giudice era partito dal carcere a vita con esclusione però dell’isolamento diurno proprio per effetto dello sconto di un terzo della pena. Al processo d’appello la condanna si è ridotta a 30 anni, per scendere a 20 di fronte agli Ermellini.

Il delitto, il 18 aprile 2011, sconvolge l’opinione pubblica. Una giovane mamma di quasi 29 anni, originaria di Somma Vesuviana, provincia di Napoli, sparisce da un parco di Ascoli Piceno mentre il marito spinge la figlia sull’altalena. In realtà il corpo senza vita di Melania viene ritrovato due giorni dopo molto distante da quel parco giochi, in un bosco di Ripe di Civitella in provincia di Teramo. Colpita da 35 coltellate la ragazza ha i pantaloni abbassati e il segno di una svastica incisa su una coscia. Mentre Melania viene uccisa, sua figlia Vittoria di appena 18 mesi, dorme sul seggiolino dell’auto parcheggiata poco distante.

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