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Ucciso per sbaglio e poi sciolto nell’acido, le ultime parole dei killer a Giaccio:«Ora devi stare zitto»

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E’ stato il neo collaboratore di giustizia Giuseppe Simioli  a risolvere una volta per tutte l’omicidio di Giulio Giaccio, il giovane ucciso 26 anni fa da un commando del clan Polverino. Questa mattina i magistrati della Dda di Napoli (pm Giuseppe Visone) hanno applicato la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di Salvatore Simioli ‘o sciacallo, di Luigi De Cristofaro, alias Mellone e Raffaele D’Alterio, alias ‘a Signurina. Simioli e D’Alterio sono già detenuti per altri reati. Il giovane Giulio Giaccio, in quella terribile notte del 30 luglio 2000, fu prelevato da finti poliziotti sopraggiunti a bordo di un’autovettura Fiat Uno di colore bordeaux, mentre si trovava in piazzetta Romano – a poca distanza dalla propria abitazione – senza fare più ritorno a casa. Al momento del “sequestro” il giovane non era solo, ma un suo amico, notiziò subito i familiari dell’accaduto. Nelle ore successive, i familiari della vittima contattavano tutti i comandi di zona verificando che nessuno aveva proceduto al fermo di Giulio.

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Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia:«Così fu ucciso Giaccio»

Decisive, per offrire un quadro definitivo al cold case dei Camaldoli, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia tra cui lo stesso Simioli e Roberto Perrone, il primo a parlare di quella notte in un lungo verbale:«Come ho dello, a bordo del veicolo c’erano due pettorine con le scritte della Polizia o dei Carabinieri, non ricordo bene, che indossammo io e Simioli Salvatore, mentre il De Cristofaro conduceva il nudo ed il D’Alterio era seduto sul sedile posteriore. Raggiungemmo la piazzetta antistante la chiesa dei Romani scendemmo dalla vettura e ci avvicinammo al giovane a bordo della Transalp chiedendo se fosse Salvatore. Questi rispose di chiamarsi Giallo chiamandomi “comandante” e scambiandomi evidentemente per il capo pattugli  ed io ribattei che doveva seguirci in caserma per un semplice controllo. Il giovane fu caricato in auto e fatto accomodare al centro tra D’Alterio e Simioli. Giunti alla curva del parco Oasi sentì il D’Alterio rivolgersi al giovane dicendo testualmente ‘Ora devi stare zitto’. Contemporaneamente abbassò la testa tra le sue ginocchia e gli esplose un colpo di arma da fuoco alla testa. Sorpreso dall’esplosione urlai al D’Alterio di cosa avesse fatto e questi senza scomporsi rispose che me lo avrebbe spiegato successivamente Salvatore Cammarota. Scesi dall’auto insieme agli altri occupanti mentre il corpo del povero ragazzo era sul sedile posteriore. D’Alterio scendendo e rivolto al Cammarota disse ‘Sta nella macchina quell’uomo di merda’. Cammarota si avvicinò allo sportello e dopo averlo aperto sferrò un calcio all’indirizzo del corpo senza vita del giovane dicendo testualmente ‘E tu eri l’uomo che si doveva chiavare mia sorella’».

Le dichiarazioni di Giuseppe Simioli

Oltre Perrone sono poi intervenute le dichiarazioni dello stesso Simioli che ha chiarito ai magistrati:«Lei in qualche occasione mi ha chiesto di un omicidio avvenuto ai Camaldoli di un ragazzo non appartenente al sistema. Come le ho scritto nella missiva che le ho mandato ho ricordato alcuni particolari di questo fatto. Durante la mia latitanza che  trascorrevo insieme a Nappi Carlo e Ruggiero Giuseppe il primo mi confidò di un omicidio che era avvenuto quando io ero detenuto e che riguardava un ragazzo che non apparteneva al sistema. Il Nappi mi rivelò che erano stati lui e Cammarota Salvatore a commissionare questo omicidio ad altri appartenenti al clan perchè si riteneva che costui intrattenesse una relazione con la sorella di Cammarota, relazione ritenuta sconveniente perchè quest’ultima era divorziata. Il ragazzo si chiamava Giulio Giaccio e fu oggetto di uno scambio di persona».

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