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Vittima sciolta nell’acido per la relazione con la donna del boss, Prota evita il rinvio a giudizio

A processo per l'omicidio di Totoriello, Raffaele Prota scagionato la vittima fu sciolta nell’acido per la relazione con la donna del boss
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All’esito dell’annullamento dell’ordinanza cautelare da parte del Tribunale del Riesame di Napoli in favore di Prota Raffaele, attraverso l’esclusione della gravità indiziaria per l’omicidio di Esposito Salvatore, ed in accoglimento delle doglianze proposte dalla difesa del Prota (Avv. Salvatore D’Antonio e Gennaro Pecoraro), Prota non è stato rinviato a giudizio per l’omicidio dell’Esposito Salvatore.

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Si chiude quindi la vicenda giudiziaria nei confronti di Prota Raffaele per l’omicidio di Esposito Salvatore, essendo state dichiarate inutilizzabili le intercettazioni disposte ed inattendibili le dichiarazioni del Collaboratori di Giustizia Simioli e Ruggiero Giuseppe.

A processo per l’omicidio di Totoriello, Raffaele Prota scagionato: la vittima fu sciolta nell’acido per la relazione con la donna del boss

L’OMICIDIO DI SALVATORE ESPOSITO

Salvatore Esposito detto Totoriello aveva commesso due errori. Il primo era quello di aver avuto una relazione con la moglie di un boss dei Licciardi. La seconda di aver raccontato in giro di questa relazione, di essersi addirittura ingelosito per la relazione che la stessa donna avrebbe avuto con un altro uomo

L’omicidio decretato dai Licciardi con l’ausilio dei maranesi
Nelle carte dell’inchiesta, culminata con gli arresti del maggio scorso, viene individuato come movente dell’omicidio la relazione di Totoriello con la moglie di un esponente apicale del clan con quest’ultimo che, una volta lasciato, avrebbe minacciato la donna di inviare una lettera rivelatrice al detenuto: “Perché adesso che scrivo a quello… gli devo dire tutto… che ti tieni a questo“. A decidere la sua morte fu il suo stesso clan, in particolare le tre persone ritenute di vertice del clan Licciardi. A loro i militari dell’Arma e la Direzione distrettuale antimafia contestano i reati di associazione mafiosa, estorsione, omicidio, detenzione e porto abusivo di armi da fuoco, aggravati in quanto commessi per agevolare il clan dell’Alleanza di Secondigliano. Secondo la ricostruzione dei carabinieri, Esposito fu vittima di una “punizione d’onore”: venne attirato in una zona boschiva e impervia di Napoli, nel quartiere Chiaiano, dove ci sono diverse cave di tufo abbandonate, ucciso a colpi d’arma da fuoco e il suo cadavere sciolto nell’acido da alcuni affiliati al clan Polverino-Simioli che usarono tecniche di lupara bianca apprese dalla mafia palermitana.

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