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venerdì, Giugno 21, 2024
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Ha sedici anni il killer di Francesco

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Ha 16 anni, ha raccontato tutto alla madre. Un bacio alla fidanzata di 13 anni prima di costituirsi. La polizia: nessuno ha collaborato





MAURIZIO CERINO



Quando domenica è ritornato a casa, U.A., 16 anni, non si era reso conto dell’enormità della sua azione e del dramma che aveva scatenato. Certo, aveva visto la sua mano sporca di sangue, domenica sera, quando era fuggito da via Mergellina sul suo motorino, dopo essersi scagliato contro Francesco Estatico, dopo averlo accoltellato perché aveva risposto all’intrigante sguardo con la ragazza. Nella fuga c’è anche la «ragazza della discordia», quella che istiga lo scambio di occhiate ammiccanti e sorrisi con Francesco. Per lei U.A. tira fuori il coltello e sferra colpi, ignaro di aver tagliato in due l’arteria femorale di Francesco. Capisce tutto l’indomani, quando riceve una telefonata. Dai telegiornali rimbalza la notizia che un giovane a Mergellina è morto per le coltellate ricevute. Quante risse possono esserci state a Mergellina? Soltanto la sua. In quel momento U.A. capisce tutto. Scappa via dalla bottega dove lavora e torna a casa. La madre lo vede pallido e tremante, riesce a strappargli qualche particolare. La donna in pochi attimi ha chiaro il quadro della situazione. Che fare? A 16 anni non si può essere latitanti per sempre. Prima o poi qualcuno, sotto il pressing delle forze dell’ordine, avrebbe finito con il parlare. C’è qualcuno che conosce un poliziotto, c’è l’avvocato di famiglia, Claudio Davino. Il consiglio sul da farsi è uno: presentarsi e raccontare tutta la verità. Prima di costituirsi, il sedicenne rivolge un ultimo pensiero alla fidanzatina di 13 anni: va da lei e le dà un bacio. Nel frattempo le indagini della polizia procedono. Nonostante l’omertà, la sezione omicidi della mobile circoscrive due zone: Secondigliano e, in particolare, il rione Berlingieri. Il fiato sul collo c’è. Il poliziotto della mobile ha aperto un canale di contatto con la famiglia e il legale. È soltanto questione di perfezionare gli ultimi dettagli. Martedì, intorno alle 23, U.A., accompagnato dall’avvocato e dai genitori varca l’ingresso della stanza del dirigente Giuseppe Fiore. E scoppia a piangere. Il bulletto di domenica sera sparisce per lasciare il posto a quello che realmente è: un ragazzino di 16 anni. Nel frattempo la squadra mobile circonda un palazzo in via delle Dolomiti. Lì abita il complice, Salvatore Salzano, 20 anni. A casa non c’è. La famiglia non ha mai conosciuto, fino a quel momento, l’iter del peregrinare per uffici giudiziari, processi, avvocati. Il ventenne, ieri mattina alle 13, accompagnato dall’avvocato Mazza, entra nella stanza del vicedirigente della mobile, Maurizio Vallone. Il questore Malvano ha appena terminato di illustrare in conferenza stampa i dettagli dell’operazione; Salzano guarda il vicequestore Maurizio Agricola e dice che domenica sera era anche lui a Mergellina. Ma di coltelli, lui, nemmeno l’ombra. Insomma, come a dire: «Io con l’omicidio non c’entro». Però secondo la testimonianza di A., il ragazzo che era con Francesco Estatico, sarebbe stato lui ad incitare il minorenne-omicida a usare il coltello. U.A. racconta agli inquirenti quella domenica. La sua fidanzata sorride a Francesco. Lui guarda Francesco e gli dice: lascia stare. L’altro gli risponde. Il minorenne tenta di accreditare la tesi di aver subìto l’aggressione. Ma dice anche di non aver capito che l’aveva ferito seriamente. Sul motorino stringe ancora il coltello fra le mani, lo guarda e lo vede sporco di sangue, così come la mano. Istintivamente lo lascia cadere mentre prosegue a camminare. Dietro, su un altro ciclomotore (entrambi con targa), c’è Salvatore Salzano con l’altra ragazza. «Ho un’amara soddisfazione perché – dice il questore Malvano – è stato identificato l’autore di un omicidio, ma c’è anche un ragazzo che non tornerà più a casa. Nessuno ha collaborato alle indagini, anche se all’omicidio hanno assistito in tanti». Il questore spiega che non ci sono stati «depistaggi» ma una serie di indicazioni che «sono state valutate e controllate e poi rivelatesi inutili alle indagini».

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IL KILLER RAGAZZINO


DARIO DEL PORTO




Visto così non sembra un bullo: ha un taglio sul sopracciglio e un livido in fronte. Porta i capelli corti, è magro, alto poco più di un metro e sessanta. Il mese prossimo compirà 17 anni, ha un lavoro e una fidanzata. Ma domenica sera ha ucciso un ragazzo e ora deve fare i conti con le coltellate che hanno stroncato una vita e ferito in profondità anche la sua esistenza. «Su, cominciamo dall’inizio», gli dicono. Chi gli sta seduto di fronte sa già tutto da un pezzo. Adesso però è lui che deve parlare. L’interrogatorio di U.A. comincia alle 22.45 e si concluderà in piena notte. «Siamo usciti in motorino. Io sulla Honda 125 di colore celeste, Salvatore sul 150 nero. Prima siamo andati nelle Salicelle, ad Afragola, a prendere le ragazze, poi a Mergellina. Il coltello stava sotto il sellino». In questura, negli uffici della sezione Omicidi ci sono i poliziotti, il magistrato, l’avvocato. Quando comincia a raccontare, U.A., che a scuola si è fermato alla seconda media, è abbattuto ma ricorda tutto. «Arrivati agli chalet ci siamo fermati. Le ragazze sono rimaste vicino ai motorini, noi siamo andati a fare la fila. Sono arrivati altri due giovani, ho sentito da lontano che uno di loro – sostiene – rivolgeva apprezzamenti alla mia fidanzata. Allora mi sono buttato in mezzo». Il capo della squadra mobile, Giuseppe Fiore, il pm della Procura per i minori Elvira Tortori e l’avvocato Claudio Davino ascoltano e verbalizzano, la tensione sale man mano che il racconto arriva al cuore della rissa. A un tratto la situazione sembra sul punto di precipitare. U.A. si alza di scatto. «Voglio morire anche io, mi uccido, voglio impiccarmi», grida, poi si lancia con la testa contro il muro. Lo bloccano quasi subito, lui piange. Si calma a fatica, ricomincia da dove si era interrotto. «Quello mi è saltato addosso, sono caduto, stavo avendo la peggio». La colluttazione, dice U.A, si sviluppa in più fasi: un primo corpo a corpo, quindi uno scontro a distanza. «Quando me l’hanno tolto di dosso sono andato a prendere il coltello. L’ho minacciato, lui ha continuato». E riprendono a picchiarsi. «Da terra gli ho dato dei pugni e una coltellata alla coscia». Ma in realtà le ferite da taglio sono una decina e per quei colpi Francesco Estatico morirà dissanguato. Gli inquirenti prendono nota, dovranno essere loro a valutare le parole del ragazzino, confrontarle con quelle dell’amico della vittima, mettere a posto tutti gli elementi per poi vagliare i profili giuridici della tragedia di Mergellina. «L’ho visto alzarsi e andare via – prosegue – anche noi ci siamo rimessi sul motorino e ci siamo allontanati. Quando sono ripartito stringevo ancora il coltello in una mano, me ne sono accorto mentre percorrevo il Lungomare e l’ho gettato via». Sulle prime, U.A giura di non aver capito. «Non pensavo di averlo ucciso, quando sono arrivato a casa credevo solo di aver fatto a botte, forse di averlo ferito». Il giorno successivo riprende la vita di sempre. Solo in serata, al rientro dalla bottega dove lavora per cento euro alla settimana, comincia a rendersi conto dell’accaduto. «Ho sentito il telegiornale che parlava di un ragazzo morto a Mergellina. Allora mi è venuto un sospetto: ”Ma fosse il fatto che è successo a me”?». La conferma arriva il giorno dopo, leggendo i giornali. U.A parla con il padre, si consulta con l’avvocato. Nel frattempo la polizia ha fatto le sue indagini, il cerchio sta per stringersi. U.A. si costituisce, il delitto degli chalet è risolto. Francesco non c’è più, il suo omicida si prepara al processo. La difesa potrebbe sostenere la tesi dell’azione preterintenzionale. Da qualche parte, in via Caracciolo, c’è un coltellino ancora sporco di sangue.




Il padre dell’omicida ai genitori della vittima: perdono


GIUSEPPE CRIMALDI



«Vorrei chiedere scusa alla famiglia del ragazzo ucciso da mio figlio, ma non saprei da dove cominciare. il suo è stato un errore troppo grosso…». Parla il padre di U., il sedicenne che ha ucciso Francesco Estatico.
«Mia moglie è distrutta – dice in lacrime Salvatore – sta male, ha già avuto molti problemi di salute, ora questa storia le ha dato il colpo di grazia. Anche mio figlio sta male: ha avuto una crisi quando si è reso conto di quello che aveva fatto. Lo ha capito lunedì a pranzo, guardando il telegiornale; ha detto: “mamma sono stato io, sono io quello di cui parlano che ha accoltellato il ragazzo”. Poi mi hanno telefonato». Da allora il dramma si è consumato nelle mura domestiche. «Abbiamo passato ore stringendoci e piangendo – ricorda ancora il padre di U. – Mio figlio si batteva la testa con i pugni e diceva di volersi impiccare. Subito ha detto di volersi andare a costituire, voleva farlo da solo: poi è andato dal suo datore di lavoro, gli ha raccontato tutto ed ha chiesto dei consigli. Ne è venuto fuori che la miglior cosa da fare era rivolgersi ad un avvocato». Il dolore dei familiari è pari allo stupore di un intero quartiere. «Chi, Salvatore? Ma che dici, quello è un bravo ragazzo, uno che riga dritto». Sorpresa generale. «U.? Ma chi, quello che lavora nella vetreria? Lui l’assassino? Non dire str…». A mezzogiorno i giardinetti di via delle Dolomiti si affollano. Nel cuore del Rione Berlingieri, in questa enclave di Secondigliano dove non si muove foglia che malavita non voglia, il passaparola ha già diffuso la notizia: Salvatore Salzano, 20 anni, e U., il 16enne che sarebbe l’autore materiale dell’omicidio di Francesco Estatico, si sono costituiti. Stupore e meraviglia.
Sette ragazzi intorno a una panchina, a due passi dalle casette popolare a tre piani dove Salvatore e U. abitano. Raccontano e spiegano chi sono i loro amici. «U. non sa nemmeno da che parte si tiene un coltello… Però tene a capa ca nunn è bbona», dice un ragazzo, faccia d’angelo su uno sguardo già da duro. Per Salvatore tutta un’altra storia. «No, Salvatore no: voi non lo conoscete, non potete capire. Quello è un bravo ragazzo, uno che ha paura della sua stessa ombra».
Sotto questo cielo di periferia violenta nessuno nasconde il proprio passato; qualcuno, anzi, lo ostenta: «Tengo precedenti per estorsione e spaccio, io qua conosco tutti: e vi dico che Salvatore no, non è un violento. Quando i suoi lo vedevano in nostra compagnia facevano i pazzi; e il padre pretendeva che, la sera, massimo alle undici e mezza tornasse a casa».
La passione di U. erano le ragazze e i cellulari. I cento euro a settimana che guadagnava in una vetreria del quartiere spesso li metteva da parte pensando all’ultimo modello di telefonino, «quello che trasmette i gol in diretta…». Salvatore lavorava invece come operaio in un negozio che ripara elettrodomestici, a due passi da casa. «Un bravissimo ragazzo», lo descrive il titolare dell’officina. Incredulità e stupore. Perché vero, come ricorda qualcuno, che Salvatore solo pochi giorni fa aveva avuto una lite con un coetaneo a Casoria; è vero pure che a U. a’ capa nun l’aiuta, come è vero che negli ultimi giorni molti si erano accorti che i due erano scossi, come impauriti. Ma quello che è successo domenica sera a Mergellina no: i ragazzi del Rione proprio non li vedono, Salvatore e U. nei panni di violenti sanguinari. «La colpa è tutta di quelle due… – sbotta un giovane in bomberino appena sceso da una moto – Se l’altra sera non ci fossero state quelle due (e ripete l’epiteto, ndr) Salvatore e U. oggi non sarebbero nei casini». Giudizio condiviso all’unanimità. Altro che irritazione: è disprezzo allo stato puro quello che i sette ragazzi di via Dolomiti esprimono ora per «quelle due del Rione Salicelle».
Ma come si fa a dare tutta la colpa a loro? In fondo, a usare il coltello è stato U. «Ma è vero che si è costituito? – domanda un altro – Allora se veramente è stato lui, meglio fare giustizia davvero: ma giustizia ”seria”, tipo camera a gas». Interviene un altro: «Ora vaglielo a spiegare alla mamma del morto perché ha perso suo figlio…». Ora i sette escono allo scoperto. E dicono chiaramente che la serata di follia omicida a Mergellina proprio non trova giustificazioni. Inutile cercare altre spiegazioni, alte cause scatenanti: «Salvatore e U. – giurano – non facevano uso di droghe». Passa il nonno di Salvatore. Abita nella palazzina a fianco a quella dove fino a poche ore fa ha dormito suo nipote. Lo guardi e capisci immediatamente che è una brava persona. Giudizio confermato da tutti, nel quartiere. «I Salzano? Una famiglia onesta. Anche il papà di salvatore è un gran lavoratore». Giudizi concordi che rendono ancora più stridente, più inspiegabile la tragedia. «Noi lo possiamo testimoniare – conclude uno degli amici- Salzano e U. appartengono a due famiglie tranquille. Non sono violenti e tantomeno assassini. Ma adesso chi gli glielo spiega al giudice?». Già: chi glielo dice al giudice?





QUEI RAGAZZI PERDUTI



ANNA MARIA ASPRONE



Ragazzi, solo ragazzi. Francesco e il suo assassino, vittima e carnefice, 35 anni in due. Protagonisti, loro malgrado, di un’assurda storia di sangue e violenza, consumata tra indifferenza e omertà. Ieri l’epilogo per entrambi. Francesco, poco più di 18 anni, punito per un sorriso, in una grigia e fredda mattina di febbraio è stato accompagnato nella chiesa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo dalla sua famiglia, dai suoi amici, dalle autorità e da migliaia di persone del suo quartiere giunti per dirgli addio.
Nello stesso momento si compiva anche il destino del suo aggressore. Anche U.A. 16 anni, garzone, ieri è stato accompagnato, ma dal suo legale, fino alla soglia del suo ”destino”, la Questura, per confessare quel delitto atroce, tanto assurdo quanto immotivato. Ernesto, il papà di Francesco, ha appreso la notizia dell’arresto mentre risuonavano i primi rintocchi della campana della chiesa dei santi Apostoli «E gli altri?» ha detto con lo sguardo spento e rassegnato. E, in un soffio: «Ha sedici anni quel…! Si è costituito, ora ha pensato al male che ha fatto». Poi la folla incontenibile lo ha spinto dentro verso sua moglie Nunzia, piccola e indifesa su quella panca, davanti alla bara del figlio. Un silenzio irreale, nella chiesa inondata di fiori bianchi, piena di gente. Seduti dietro il nonno materno Carlo e le zie, Anna e Mafalda, sorelle di Ernesto. «Il mondo è impazzito» sussurra Mafalda nel fazzoletto zuppo di lacrime. «Hanno mandato avanti il minorenne – dice invece con rabbia Anna senza più trattenersi – ma sono colpevoli tutti e quattro. Anche le ragazze. Da loro è partito tutto. E loro due devono rendere giustizia a mio nipote, confessando che Checco non ha fatto nulla se non rispondere ad un sorriso. È forse una colpa?».
«Alla fine ha prevalso la voce della coscienza» ha commentato invece, prima dell’omelia, don Umberto Ciotola, il parroco dei Santi Apostoli. Poi, in chiesa ai parenti: «Imploriamo il perdono delle nostre colpe e di chi non è presente in mezzo a noi. Ci chiediamo perchè Dio permette queste cose – ha aggiunto – e davanti a queste tragedie viene voglia di fuggire via da questa città. Ma non dobbiamo permettere che l’odio abbia il sopravvento. Solo l’amore come quello della mamma di Francesco che mi ha detto ”Non provo odio per chi ha ucciso il mio Francesco, ma mi dica padre, ora mio figlio sta bene dov’è?”». E un pensiero ai tanti ragazzi che affollavano la chiesa «Dovete essere operatori di pace. Siete spesso senza ideali perchè la società non ve li offre e così a volte non scegliete la strada giusta». E agli adulti: «Non parliamo male dei giovani. Facciamo un ”mea culpa” e aiutiamoli invece con l’esempio». Ma a dare sfogo ad un pianto liberatorio sono state le parole degli amici di Checco, quelli di via Giustiniano («Ognuno di noi ha un tuo ricordo personale – hanno scritto – ma tutti ricorderemo per sempre la tua allegria») e quelle vibranti di Irene: «Non c’è rassegnazione ma solo tanta rabbia e dolore. Che avvenire c’è per noi ragazzi, in una società dove è sicuro solo chi non esce mai di casa? E l’omertà, l’indifferenza sono davvero la soluzione più giusta? Che resta – ha concluso – se non puoi sorridere a una ragazza, non puoi andare allo stadio, nè andare a ballare il sabato sera. Ci sono gli assassini, ci sono gli spacciatori. E ora non puoi neanche più andare a mangiare un gelato».




LA MAMMA




Rannicchiata su quella panca, con una copertina azzurra sulle gambe per riscaldare anche il freddo dell’anima, la mente indifferente a tutto: la gente, gli abbracci, le carezze. Lo sguardo di Nunzia (nella foto), la mamma di Francesco, non si è concesso a nessuno ieri, durante la cerimonia funebre. Né ai familiari in lacrime, né al parroco che le porgeva l’ostia, né al sindaco che le baciava le guance senza più colore. Era solo per lui, Francesco, parlava, in un duetto silenzioso, con quel legno chiaro ricoperto di orchidee bianche. Perdere un figlio di 18 anni è innaturale come è contro natura che una madre deponga il proprio figlio in una bara. Chi lo ha provato sa che è un dolore disperato, che ti fa gridare contro un destino troppo atroce da sopportare. Che ti può far perdere la ragione. Ma lei Nunzia, ieri, nella chiesa stracolma di gente e di fiori, era sola, pietrificata. Non una lacrima, né un gesto, né un grido. Nulla. Afflosciata sullo scanno, fissava il suo Francesco e, ogni tanto, cercava riposo sul braccio del marito Ernesto che eseguiva per lei il rito religioso. «Non odio chi ha ucciso Francesco», aveva detto al parroco, prima della funzione. Poi è iniziato il suo dialogo silenzioso di addio a Francesco. E il suo non-odio ha dimostrato che certamente si sbagliava chi ha creduto che un dolore così forte e atroce potesse schiacciare quella piccola donna, quella mamma con l’aria da bambina. In quella chiesa tra tanta gente attonita, addolorata, in lacrime e confusa forse la più forte era proprio lei.
a.m.a.




LA POLEMICA




Aveva già inviato fiori e picchetto d’onore ma poi ha voluto esserci di persona, il sindaco Iervolino, alla cerimonia funebre di Francesco Estatico. Così ieri è andata a Soccavo dove si è confusa tra la folla che gremiva la chiesa dei santi Apostoli ed ha ascoltato la messa con una rappresentanza del Consiglio Comunale. Un abbraccio da mamma con Nunzia e suo marito Ernesto. Poi la riflessione: «Non accuso nè dico che i napoletani sono vigliacchi, ma mi scandalizza che, vicino al luogo del delitto, ci sia una clinica e nessuno ha pensato di portarvi Francesco. Forse la gente resta attonita davanti alla violenza». E sulla violenza un’altro pensiero «L’altra sera in televisione in pochi fotogrammi ne ho vista tanta che mi ha fatto riflettere. Certo non deve esserci la censura ma ci stiamo abituando ad una mentalità per cui una coltellata è come un calcio. Prima la violenza si associava all’odio e c’era una relazione con l’altro ora invece è un gesto individuale. Facciamo manifestazioni contro la guerra – ha aggiunto ancora – e io vi aderisco, ma noi la guerra la facciamo in casa. Certo occorrono più controlli e polizia, ma non si può militarizzare la città». Poi, tornando alla tragedia «Questi gesti – ha concluso – denotano mancanza di valori profondi, e del rispetto della vita. Dobbiamo puntare sulla cultura della legalità e all’ascolto dei giovani. Tanti sono impegnati nel volontariato. Questa madre che non odia, mi ricorda il figlio di Bachelet che pregò per chi aveva ucciso il padre. Chi è colpevole va punito ma mi consola pensare che finirà a Nisida, un carcere dove la punizione va di pari passo con recupero e rieducazione».






IL MATTINO Giovedì 19 Febbraio 2004

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