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“Alessia Pifferi ha un funzionamento menomato”, ma per i giudici è capace di intendere e di volere

Alessia Pifferi per la corte "Non ha disturbi", ma la difesa parla di funzionamento menomato
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Il processo per la morte della piccola Diana, spirata a 18 mesi di stenti, è alle battute finali. La Corte d’Assise di Milano ha dichiarato Alessia Pifferi “capace di intendere e di volere”, la difesa invece parla di “funzionamento menomato”.

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Novità dal processo su Alessia Pifferi

La signora comprende le domande, ma dobbiamo valutare anche quella che è la qualità delle risposte. La qualità è da disco rotto“. Così lo psichiatra Marco Garbarini, consulente della difesa di Alessia Pifferi, sentito in aula nel processo a carico della 38enne per l’omicidio della figlia Diana di 18 mesi, lasciata morire di stenti a casa da sola per 6 giorni. “Guardando alla vita della signora Pifferi, come si fa a dire che non ci sia stata una compromissione del suo funzionamento in tutte le aree? Ha un funzionamento assolutamente menomato – ha aggiunto -, lo ha sempre avuto, fin da quando andava a scuola“. “La personalità, la funzionalità della signora Pifferi, come è stata descritta da me e dal perito, dal mio punto di vista non è così dissimile. La differenza è che io inserisco questo funzionamento in un disturbo dello sviluppo intellettivo che spiega come è la signora e giustifica quelli che sono stati i suoi comportamenti. Pirfo descrive le modalità di funzionamento ma non le attribuisce a un disturbo“, ha continuato.

Il test di Wais e la sua attendibilità

Alla domanda del pubblico ministero sull’attendibilità del test di Wais somministrato alla 38enne dalle psicologhe del carcere, il consulente ha risposto che “sì”, era attendibile, sottolineando che “è stato eseguito esclusivamente con finalità clinica e non con finalità di tipo psichiatrico forense”. Non era invece attendibile secondo lo psichiatra Elvezio Pirfo, a cui è stata affidata la perizia sulla donna, secondo cui  è capace di intendere e volere.

Anche ammesso che il test Wais fosse stato metodologicamente attendibile, e non lo è – ha sottolineato-, non avrebbe determinato la possibilità in sé di dire che esisteva una disabilità intellettiva”. Il perito ha ricordato che ci sono “due aspetti clinici su cui mettere attenzione: da una parte la dipendenza e dall’altra la alessitimia”. Il primo di questi, ha spiegato, “non configura automaticamente il disturbo. Se si vanno a leggere tutti gli altri criteri, mancano. La necessità dell’accudimento, la necessità del dover essere protetta, credo che sia indiscutibile nella relazione soggettiva. Ma che questo automaticamente configuri quella condizione che noi chiamiamo disturbo, non è corretto”. Il termine alessitimia invece descrive “una condizione psicologica che è come se ci facesse vivere dietro a un vetro. Guardiamo ma siamo schermati. Questo – ha aggiunto Pirfo – non configura di per sé una malattia

 

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