Ci sarà un processo per il clan camorristico Terracciano, indagato da molti anni in Toscana tra Firenze, Prato e Viareggio e a carico del quale sono state fatte varie inchieste dalla Dda di Firenze a partire dal 2007. Il gup Angelo Antonio Pezzuti adesso ha rinviato a giudizio 52 soggetti: sono esponenti di vertice del gruppo criminale, fiancheggiatori e prestanome nel controllo di aziende commerciali.
La prima udienza sarà l’11 gennaio 2019 all’aula bunker di Firenze. Per 16 imputati l’accusa principale è di associazione a delinquere di stampo mafioso, armata, finalizzata a compiere numerosi delitti di usura, estorsione, scommesse clandestine, sfruttamento della prostituzione, commercio di merce contraffatta, riciclaggio, controllo e gestione di locali notturni e imprese di ristorazione, immobiliari, abbigliamento e automobili.
Nell’esprimere la loro forza intimidatrice in Toscana, sostiene la Dda, i Terracciano hanno fatto valere le loro relazioni familiari e trascorsi nel gruppo Nuova Famiglia del clan Cutolo.
Personaggi di spicco del clan, con base a Prato, sono Giacomo Terracciano, 66 anni, e Carlo Terracciano, 69 anni, originari di Pollena Trocchia, accusati di dirigere e organizzare l’associazione; il “cassiere” Francesco Lo Ioco, 66 anni di Nicosia (Enna), considerato dagli inquirenti la ‘mente finanziarià del gruppo e specialista in usura; la guardia del corpo di Giacomo Terracciano, Pasquale Ascione, 48 anni, loro compaesano.
A processo anche una serie di figure di riferimento per i vertici del clan tra cui gli stessi figli di Giacomo Terracciano, Francesco e Antonio Terracciano, e ancora Bruno Gori, Luca Pacini, Jonah Ghiselli, Luca Barollo, Luca Basile, Michele Di Tommaso, Paolo Posillico, Mirko Traficante, Dritan Vuji e Giuseppe Catapano.
Intimidazione e omertà sono tratti dell’organizzazione, come rileva il pm Giulio Monferini nella richiesta di rinvio a giudizio del settembre 2013. Per gli altri imputati sono contestati, a vario titolo, il concorso nei reati fine dell’associazione. Per le indagini, svolte dalla guardia di finanza, i proventi delle attività illecite in Toscana venivano riciclati in imprese commerciali. Aziende che nel corso delle varie inchieste sono state sottoposte a sequestri, anche per valori ingenti.