Anucha Thasako è finito al tappeto dopo una serie di colpi alla testa, sul ring di un sobborgo di Samut Prakan, in Thailandia. È morto di emorragia cerebrale dopo tre giorni in ospedale. Era un professionista di Muay Thai, la kickboxing locale. Era il suo 170esimo combattimento. Aveva cominciato a combattere a 8 anni, ed è morto a 13. Nella notte dell’incontro mortale Anucha e il suo avversario non indossavano protezioni, vietate dal regolamento, mentre si scambiavano calci e pugni al corpo e alla testa.
Anucha era orfano ed era stato adottato da uno zio, il quale ha raccontato in lacrime ai cronisti che il miniatleta combatteva per non perdere la borsa di studio che si era guadagnato grazie alla sua bravura in questa disciplina: «Così si manteneva gli studi e sosteneva il bilancio familiare» ha detto l’uomo.
L’avversario che lo ha ucciso ha 14 anni. Ha deciso di mettere all’asta i calzoncini dell’incontro fatale: il ricavato andrà alla famiglia della sua vittima. Il ragazzo non ha intenzione di smettere con la lotta: «Ho bisogno di guadagnare per andare a scuola».
In Thailandia ci sono circa 10 mila tesserati under 15 di Muay Thai. Il Parlamento di Bangkok sta discutendo una legge per innalzare l’età dei combattenti e fissare il limite a 12 anni. Un limite che non avrebbe comunque impedito la morte di Anucha. L’ordine dei medici thailandese ha spiegato che i colpi subiti dai bambini, che hanno un’ossatura ancora in via di formazione, portano a gravi rischi di danni cerebrali, come l’emorragia che ha stroncato Anucha.
A inizio novembre a Bangkok era morto un pugile italiano: Christian Draghio, 49 anni. Era un campione di kickboxing che si era trasferito in Thailandia da vent’anni, aprendo anche una palestra.