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“I pentiti devono morire bruciati”, gli arrestati si difendono: «Era per tradizione, non ce ne siamo accorti»

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Era la notte dell’8 dicembre quando Castellammare di Stabia attirò su di sè le attenzioni dei media quando, durante il tradizionale falò della festa dell’Immacolata, fu appeso e bruciato un manichino accompagnato dalla scritta “I pentiti devono morire bruciati”. A portare fin lassù striscione e manichino, si scoprirà dopo attente indagini, furono Antonio Artuso, 19 anni, Francesco Imperato, 24 anni e Fabio Amendola di 31 anni, oltre a due minorenni.  Spaesati, inconsapevoli della portata del gesto. Secondo i verbali delle dichiarazioni difensive, sia pure tra qualche contraddizione, meri facchini di un messaggio di camorra ideato e scritto da altri, e portato lì in circostanze non chiarite. “Ho la terza media, non ho capito proprio la gravità”, dice al giudice  “Io non so nemmeno cosa c’era scritto sullo striscione”, afferma a sua volta Fabio Amendola,

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Per i tre maggiorenni – , riporta il Fatto Quotidiano – il Gip di Napoli aveva deciso a febbraio la misura cautelare del divieto di dimora in Campania con accuse di istigazione a delinquere aggravata dal metodo mafioso. Misura attenuata all’obbligo di firma dopo gli interrogatori di garanzia.

Secondo quanto raccontato da Artuso e Amendola, si sarebbe trattato di una bravata. Entrambi affermano di aver partecipato solo ad un rito di folklore senza approfondire cosa ci fosse scritto sullo striscione. Una versione che ha convinto poco i giudici che hanno proceduto ad ascoltare i due. Artuso dice di aver capito di averla fatta grossa solo quando i carabinieri si sono recati a casa sua per identificarlo. E quando il padre, per reazione, lo ha messo in punizione togliendogli lo scooter e il telefonino.

 

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